Liturgia & Musica

Questo spazio nasce dalla mia esperienza di moderatore della mail circolare "Liturgia&Musica", avviata nel dic. 2005 per conto della “Associazione Italiana Organisti di Chiesa” (di cui fui segretario dal 1998 al 2011) al fine di tener vivo il dibattito intorno alla Liturgia «culmine e fonte della vita cristiana» e al canto sacro che di essa è «parte necessaria ed integrante» unitamente alla musica strumentale, con particolare riferimento alla primaria importanza dell'organo.

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giovedì 19 giugno 2025

Sul cosiddetto organo "a canne" (di Pier Paolo Donati)

Paolo Bottini all'organo
della chiesa collegiata dei santi Martino e Stefano
in Serravalle Scrivia [foto di Fabio Macera]
 


Sussiste, e di giorno in giorno si diffonde nell’uso, un altro modo di dire veramente deprecabile: quello che specifica come gli organi siano dotati di canne. 

Si scrive e si legge organi a canne in ogni dove, dalle riviste di categoria ai giornali. Passi per quest’ultimi, ormai buoni al più per involtare il pesce, ma colpisce che siano caduti così in basso anche coloro che dovrebbero difendere lo strumento, e nettamente distinguerlo dalle sue tecnologiche imitazioni: ovvero dai famosi pornofoni, come ai bei tempi ebbe a definirli Oscar Mischiati che ne detiene il copyright.

Il fenomeno si accompagna all’imbarbarimento e alla corruzione della lingua italiana, tanto avanzato da far temere della sua sopravvivenza, data la situazione in cui versano le istituzioni scolastiche. Ci si chiede come se ne potrà fare un uso letterario dopo l’alluvione di anglismi d’accatto, dopo il deserto seguito alla scomparsa di sinonimi, locuzioni e perifrasi, dopo la riduzione del lessico alle cento parole in uso presso l’infinita sorta di lemuri che ossessivamente titillano una moderna versione di lanterna magica.

Sul tema della lingua, viene a taglio una poesiola che chi scrive volle dedicare alla figlia minore nel 2007, in occasione della raggiunta maturità, per spronarla ad esercitarsi nell’acquisizione di un linguaggio almeno appropriato se non eloquente. L’occasione è propizia per riprodurne un tratto:

Chi ripone ogni sua cura
A scansare l’ovvio e il vieto
In qualsiasi congiuntura
Predispone il fine lieto.

Al contrario chi si ferma
Al tritume del linguaggio
Avrà spesso la conferma
Che è inadatto per l’ingaggio.

Se offri idee al momento buono
Con un lessico adeguato,
La proposta acquista tono
E il successo è assicurato.

Dunque, ripassiamo insieme
Qualche punto a cui badare,
Con la cura di chi teme
Nell’errore d’inciampare.

Ringraziando il mecenate
Con il verbo più appropriato
Per le offerte che ha donate,
Non si scriva «supportato»!

Si dirà che ha sostenuto,
Favorito ed appoggiato;
Che ha prestato il proprio aiuto,
Sovvenuto e secondato.

Ormai nulla è più evidente,
Né si staglia ovvero appare;
Tutto «emerge» immantinente:
Mai risulta, oppur compare.

Così quando ognun s’appresta
Al colloquio con persone,
Sappia allora che il purista
La chiamata vi dispone:

Un incontro è presto fatto,
Si può anche convocare,
Purché mai s’usi lo sciatto
E aborrito «contattare».

Chi per solito si appella
A «una serie di questioni»,
Chi ti fa «un certo discorso»
Senza dare spiegazioni,

È un uccello imitatore,
Quasi fosse ammaestrato,
Che ripete a tutte l’ore
Un linguaggio affatturato:

Per esordio: pone «Allora!»,
A cui appressa un «Detto questo»;
Se spiegato non si è ancora,
Un «quant’altro» aggiunge lesto.

Chi ha l’«approccio» del problema,
E chi vuol «Filosofia»
Alla guardia del sistema
Che ti vende mercanzia.

Chi si pone «a monte» e «a valle»,
Chi discetta di «livello»,
Beh! costui non reca a spalle
Della lingua il gran crivello.

E chi usa l’«attimino»,
Che già l’attimo è fuggente,
molto avanti è nel cammino
Per ottundersi la mente.

Qui vi è un «grosso personaggio»,
Là si vuol «fidelizzare»;
Non vi è alcuno in vasto raggio
Che non voglia anglicizzare.


Quel che manco riesce a dire / Nella lingua sua natale. La poesiola non finiva con questo verso, ma la chiusa sembra appropriata a quanto esposto sopra.


sabato 7 giugno 2025

Musica di stampo "teatrale" nel culto divino delle chiese italiane durante il secolo XIX

 


«[...] Se le musiche di Chiesa al dì d'oggi, non senza gravissimo danno del Divin Culto e della pietà cristiana, si sono trasformate in musiche teatrali col cambiar le parole profane in sacre, noi Vescovi in niun altra miglior maniera, e più efficace possiam riparare agli scandali e disordini, il quali in occasione di siffatte musiche si commettono, che coll'attendere a ristabilire nelle nostre Chiese il canto veramente ecclesiastico, canto, voglio dire, grave, modesto, religioso, e specialmente nelle Chiese cattedrali, e collegiate, come è appunto quella di Busseto, nelle quali viene prescritto il canto gregoriano. Se poi la Società de' Filarmonici di Busseto è sì smaniosa di far musiche onde spicchi la sua abilità, perché scegliere a ciò le Chiese, e non dare piuttosto pubbliche accademie, e concerti o in teatro, od in case private? [...]"
(Giovanni Neuschel, vescovo della diocesi di Borgo San Donnino, 14 febbraio 1839; citato in Gustavo Marchesi, Verdi, merli e cucù, Quaderno n. 1 di Biblioteca 70, Busseto 1979, p. 399)