Liturgia & Musica

Questo spazio nasce dalla mia esperienza di moderatore della mail circolare "Liturgia&Musica", avviata nel dic. 2005 per conto della “Associazione Italiana Organisti di Chiesa” (di cui fui segretario dal 1998 al 2011) al fine di tener vivo il dibattito intorno alla Liturgia «culmine e fonte della vita cristiana» e al canto sacro che di essa è «parte necessaria ed integrante» unitamente alla musica strumentale, con particolare riferimento alla primaria importanza dell'organo.

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lunedì 7 ottobre 2024

Papa Giovanni XXIII e la musica - di G. Baroffio





Papa Giovanni XXIII e la musica


di Giacomo Baroffio


Esaminare quale sia stata la musica che ha interessato papa Roncalli durante il pontificato (1958-1963), aiuta a comprendere un tratto importante della sua personalità. Innegabile è la sua disponibilità ad ascoltare esecuzioni corali e orchestrali, mentre probabilmente non è stato musico attivo. Non risulta, infatti, che abbia imparato a suonare uno strumento. Non gli sono mancate occasioni per ascoltare concerti, di gustare la serenità emergente da emozioni profonde. Non si ascolteranno, tuttavia, da papa Roncalli riflessioni che affiorano dal cuore di Benedetto XVI (1927-2022). Il papa bavarese ha affinato la sua personalità grazie alla familiarità con le composizioni di maestri quale Wolfgang A. Mozart (1756-1791). Sulle virtù della musica, dono prezioso di D-i-o, papa Ratzinger si è espresso in molte occasioni. 

Su questo punto, il silenzio di Giovanni XXIII conferma un fatto: la musica – considerata nel senso corrente e rappresentata dalle grandi tradizioni ‘colte’ e orali ‘popolari’– non ha presentato un apice dei suoi interessi personali. Ciò non deve ingannare e condurre a conclusioni affrettate. Di fatto, sin da giovane Angelo G. Roncalli si è trovato in un clima spirituale molto particolare, oggi ignoto ai più – quello del seminario e del percorso formativo sacerdotale – secondo gli usi diffusi nei luoghi di formazione italiani.


formazione e radicazione 


La formazione del giovane Roncalli segue, come c’è da aspettarsi, la tradizione del tempo. Essa è assai diversa da quella odierna; sotto alcuni aspetti sembra riflettere la vita su un altro pianeta. I limiti sociali erano vissuti in un clima di fede che permetteva alle famiglie indigenti di condurre una vita dignitosa sostenuta dalla fede in D-i-o, avvertito vicino e provvidente. Angelo non doveva costituire allora un’eccezione; oggi sembra una reliquia che può lasciare interdetti. 

Bambini e ragazzi vivevano nei paesi dove le famiglie – nonostante eventuali eccezioni – si conoscevano, condividevano i frutti degli orti e dei campi. Si entrava in ogni casa e si usciva dopo una visita che durava il tempo giusto. I minuti o le ore permettevano di rinsaldare le amicizie, di offrire un aiuto, ottenere una consolazione. Talora un piatto di minestra, spesso un sorriso. 

Diffusa era la preghiera: i luoghi cambiavano secondo le stagioni, al chiuso e all’aperto. Le persone trovavano uno spiraglio che permetteva di condividere la vita di Gesù con i vicini. I ragazzini erano al centro dell’attenzione vigilante degli anziani. I giocattoli erano primitivi, ma aiutavano anche loro a stringere relazioni in continuo commercium del dare e ricevere senza calcoli egoistici. 

Oggi basta poco – salire su un bus o camminare in alcune strade – per rendersi conto che quella società non esiste più. Nei paesi le dimore sono sigillate; i condomini nelle città ospitano sconosciuti. I piccoli sono affidati a telefonini e aggeggi con cui talora si trastullano un poco, mentre spesso perdono se stessi nel nulla. Hanno la stanza piena di cose, ma non c’è la presenza costante – sempre leggera, mai opprimente – di una persona amica.

Per comprendere il cammino chiaroscuro percorso dal futuro pontefice, è necessario conoscere il suo mondo interiore, immaginare le sue reazioni: lo sbalordirsi di fronte a tante novità, il gustare la dolcezza di piccoli e ‘insignificanti’ accadimenti che rischiano di non essere percepiti e dei quali si gettano via i frutti più ricchi che stanno sbocciando: l’amore, quasi il culto, della verità, della giustizia, della condivisione gratuita che si ha nel donare il proprio tempo. E poi, vivere con i coetanei nella semplicità che sa riconoscere la gratitudine che si riceve, sa perdonare i torti che, forse senza nessuna malvagità, si è costretti a subire. 

Nell’itinerario che porta a D-i-o scopriamo le tracce di Gesù, sentiamo il suo richiamo, avvertiamo l’ebbrezza dello Spirito. Incontriamo finalmente noi stessi per quello che siamo, senza maschere che ci sono imposte o che noi indossiamo per non dovere affrontare le responsabilità che periodicamente vengono a galla, anche quando uno meno se l’aspetta.

Questa dovrebbe essere stata la giovinezza di Angelo. Un tempo segnato dalla consapevolezza dei propri limiti senza che ciò lo spingesse nel vicolo cieco dello smarrimento infantile che paralizza tante vite innocenti abbandonate a se stesse. Il giovane seminarista – grazie agli anni trascorsi a casa nella semplicità calorosa di un ambiente umano ricco di presenze religiose – avverte la responsabilità che deve assumere nel momento. 

L’esame di coscienza non si riduce a un meccanismo assurdo di tortura, ma è ciò che deve realmente essere: una conoscenza capillare, mai pignola, del nostro agire, quale rivelazione del nostro pensare e decidere nel profondo del cuore, nella intuizione libera e liberante, nell’ascolto della mente razionale e, ancor prima, del cuore.

Nell’attraversare il mondo della pietà popolare, Angelo prende notizia e si ritrova inserito nello spazio liturgico. Quanto non comprende direttamente dalla lingua latina gli è rivelato dalla reazione vissuta nell’ambiente rurale: lo sguardo verso il tabernacolo, la corona del Rosario sgranata che si muove e s’arresta per fare spazio all’ascolto di quanto viene rivelato ai semplici senza che siano necessarie formule complesse, talora aride e lontane. Il ragazzo si muove sotto lo sguardo del parroco e delle anziane verso i cui occhi egli presta attenzione fino a scorgere un lampo che segnala che cosa deve fare, dove andare. Senza saperlo sta diventando un compagno fedele di Gesù. Si sente pronto a servirlo. Non stacca più lo sguardo dalla mano del Signore e della Madonna: prima ancora di conoscere l’esperienza del salmo, egli vive e si dona pienamente al suo Signore e Maestro.

Questo primo percorso nella sequela Christi segna e orienta in modo indelebile il suo futuro nella Chiesa. Giuseppe Ormenese ha esposto in modo chiaro la Vita virtuosa cogliendo vari aspetti che aiutano ad avvicinarci al modo con cui Roncalli ha accolto e fatto fruttificare il dono di D-i-o.

La professione della fede è stata favorita dal superamento di una pietà che aveva superato il diffuso rigorismo con l’affermazione di un’esperienza di sentimenti vissuti dalla persona in carne e ossa. 


Le prime note effettivamente personali del 1895 riportano il proposito di «assistere con particolare e straordinaria penetrazione interna e fede alla santa messa» e un anno dopo quello «di non accostarmi mai ai santi sacramenti per usanza o con freddezza e di non impiegare mai meno di un quarto d’ora nel prepararmi». Le molteplici distrazioni o il mancato raccoglimento sono però il motivo dominante del periodo e i rimedi adottati fanno riferimento all’impiego di frequenti giaculatorie, intese come mezzi per ottenere «l’intima unione con Gesù... e Maria». È in tale contesto che il diciottenne Roncalli tematizza la scissione tra pietà interna ed esterna: «il più che io mi debbo procurare è una pietà interna, della quale l’esterna non è che una veste; pietà che si fondi sull’umiltà vera, della quale ho un grandissimo bisogno», segnalando in tal modo non solo un bilancio della propria spiritualità ma, in maniera indiretta, anche il dilemma che investiva la pratica cultuale tesa tra paradigma devoto e aspetto cerimoniale, avvertito quest’ultimo come significativo sul versante esteriore della corretta esecuzione, del portamento e della testimonianza da rendere agli altri.