Liturgia & Musica

Questo spazio nasce dalla mia esperienza di moderatore della mail circolare "Liturgia&Musica", avviata nel dic. 2005 per conto della “Associazione Italiana Organisti di Chiesa” (di cui fui segretario dal 1998 al 2011) al fine di tener vivo il dibattito intorno alla Liturgia «culmine e fonte della vita cristiana» e al canto sacro che di essa è «parte necessaria ed integrante» unitamente alla musica strumentale, con particolare riferimento alla primaria importanza dell'organo.

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venerdì 17 gennaio 2025

Per una regolamentazione (ecclesiale) dell'ufficio di Organista nelle chiese

[Paolo Bottini all'organo positivo di scuola napoletana nella basilica di S. Maria di Campagna in Piacenza]

 


Qualcuno, tempo fa, esprimeva voti affinché [cito, aggiungendo tra parentesi quadre le mie glosse riguardanti l'hic et nunc!]:


1) gli organisti siano educati allo spirito liturgico, fonte d'ispirazione della loro missione artistica [ove presenti, percorsi di formazione liturgica per organisti sono semplicemente una proposta, nessun obbligo!];

2) nessuno venga ammesso ad esercitare l'ufficio di Organista nelle chiese senza formale autorizzazione delle Autorità Ecclesiastiche [purtroppo, siccome «ogni parroco è papa» - v. http://liturgiaetmusica.blogspot.com/2017/10/anarchia-liturgico-musicale.html -, a nessun prevosto passa per il cervello di rilasciare formale autorizzazione allo strimpellatore domenicale di turno, tanta manna se qualche vescovo ha sottoscritto più o meno formale atto di nomina dell'organista della sua Cattedrale!];

3) per la nomina di Organista o di Maestro si segua costantemente la norma e il risultato dei concorsi [nemmeno l'organista "titolare" della basilica di S. Pietro in Vaticano è stato nominato per concorso! Addirittura, ove si facciano bandi, si offre un posto di lavoro... gratuito (come presso la diocesi di  Altamura nel 2024)] ;

4) anche in Italia sorga la Federazione degli Organisti Italiani, aggregata all'Associazione Italiana Santa Cecilia [risulta invece essere incorporato nell'AISC un mero "segretariato organisti"; tra il 1994 e il 2011 esisteva la "Associazione Italiana Organisti di Chiesa", sodalizio uscito dagli auspici di alcuni convegni organistici promossi dall'Accademia di Musica Italiana per Organo di Pistoia]

5) i Comuni d'Italia, rievocando e rinnovando l'espressione di antiche provvidenze dei padri, restaurino nel bilancio annuale una equa dotazione per la Cappella musicale, focolare di cultura oggi come già un tempo, decoro d'arte ed espressione di fede [!]


Se oggi fosse finalmente convocata una nuova Adunanza Organistica nazionale - come la prima (di una serie) che si tenne nell'estate del 1930 a Trento, dai cui atti ho tratto i sopracitati auspici (v. «Bollettino Ceciliano - organo mensile dell'Associazione Italiana di Santa Cecilia», anno XXV, n. 9-10. set.-ott. 1930, p. 162) - forse si potrebbe presentare al tavolo della presidenza della Conferenza Episcopale Italiana la messa in opera (dopo quasi un secolo) di così sagge intenzioni!

Grazie per la cortese attenzione.


Cremona, il 17 gennaio 2025


giovedì 2 gennaio 2025

Nel trentennale dell'Associazione Italiana Organisti di Chiesa (1994-2024)

 



Giusto trent'anni or sono (settembre 1994) si costituiva a Pistoia l'Associazione Italiana Organisti di Chiesa con lo scopo precipuo di far riconoscere professionalmente (e quindi economicamente) il ruolo di organista liturgico (il primo presidente in carica fu Edoardo Bellotti) : il venir meno di questo scopo - dopo la disfatta della mancata firma del Contratto Nazionale di Lavoro per Musicisti di Chiesa nel 2002 - l'ha portata al progressivo dissolvimento per inedia!

Dopo il recente clamoroso caso di Altamura (in cui il vescovo diocesano ha bandito il posto di organista titolare della Cattedrale in cambio di un semplice «grazie»!) v'è da chiedersi se non siano magari giunti tempi migliori per poter pensare ad un nuovo sodalizio che possa stimolare efficaci intese tra Stato e Chiesa riguardo l'inquadramento lavorativo di coloro che hanno l'ardire di concludere un percorso accademico AFAM in organo...

Intendo dire, se i vescovi italiani non hanno (più) alcun interesse ad avvalersi di musicisti professionalmente competenti, quanto meno vedano di scoraggiare definitivamente l'istituzione di corsi AFAM in Organo per la Liturgia, che tutt'oggi sussistono in qualche Conservatorio, altrimenti si cade nell'ingenua sfacciataggine (!) del vescovo di Altamura (v. sopra)!

Ormai nel 2015 io proponevo la costituzione di un nuovo sodalizio di organisti professionisti: molti aderirono con entusiasmo... ma, si sa, quando è il caso di mettere in opera il motto "res, non verba"...

Grazie sempre per la vostra cortese attenzione e auguri di buona musica a tutti!

Paolo Bottini

Cremona, 8 settembre 2024





venerdì 20 dicembre 2024

Il grave scandalo di escludere dal culto un organo a canne... dopo averlo restaurato!

 

Il maestro organaro Ugo Cremonesi
durante il montaggio delle canne di mostra dell'organo della Pieve di Soncino (CR)



[...] entrare nel santuario è penetrare i misteri divini. [...] Mentre architettura ed arti figurative si occupano di delineare significativamente il luogo fisico in cui il divino si rivela, l'organo con la sua voce costruisce una condizione non fisica, ma emozionale, nella quale si realizza l'incontro tra la terra e il cielo, fedelmente a quanto rammentato nelle scritture circa la non fisicità del tempio: "una tenda più grande e più perfetta, non costruita da mano di uomo" (Paolo, Eb 9, 11-14). Lo stesso concetto si trova varie volte anche nell'Apocalisse di Giovanni (Ap 7, 14-17; 21, 22; 22, 1). 

Il suono, pertanto, si fa strumento perfetto per il raggiungimento del Regno celeste; esso è avvolgente e favorisce uno stato di compartecipazione degli ascoltatori attraverso la marcata sensazione di distacco dalle cose terrene, accompagnata dalla netta percezione di una elevazione ad un livello superiore di coscienza. Lo strumento in tal senso si fa grande macchina scenica di avvicinamento al divino. La sua voce, o meglio le sue voci, piovono dall'alto come voci angeliche che provengono dal cielo attraverso gli squarci tra le nubi secondo quanto narrato da Giovanni: "In verità, in verità vi dico: vedrete il cielo aperto e gli Angeli di Dio salire e scendere sul Figlio dell'uomo" (Gv 1, 51). [...] 

L'organo, come il pulpito, è collocato in alto, al di sopra delle teste degli astanti; inoltre, ad entrambi si accedere attraverso una scala, segno evidente dell'accesso a un livello superiore di evoluzione. [...] Il ruolo simbolico del suono dell'organo è pertanto quello di avvicinamento alla percezione della voce di Dio [...]. 

Tutto questo parlare di scritti sacri e di simboli serve a far capire l'importanza del suono dello strumento e quanto sia rischioso non considerarla [...]. 

Dovrebbe perciò essere evidente che conservare lo strumento, condannandolo però al silenzio, equivarrebbe a mantenere nell'uomo attivi il corpo e la mente, lasciando tacere la sua anima. Le parti componenti la struttura architettonica e fonica dell'organo non possono dunque prescindere dal suono, essendo esso scopo fondamentale della loro esistenza. 

Pertanto, la convinzione diffusa che l'azione di tutela sia compiuta nel momento in cui cassa e fonica sono restaurate, è erronea; lo strumento a quel punto è recuperato, ma se non riprende a suonare regolarmente, ogni intervento sarà stato inutile. 

Il restauro, quindi, non è momento finale, ma stadio iniziale del recupero della funzione dello strumento e della sua creatività. Infatti esso, suonato regolarmente e sottoposto a periodiche manutenzioni, potrò vivere a lungo senza aver bisogno di ulteriori interventi di restauro, importanti, ma comunque traumatici.


(storico dell'arte presso la Soprintendenza ai B.A.P.P.S.A.D. per l'Abruzzo)


domenica 15 dicembre 2024

L'inno "Lauda Sion - Christus vincit" di Federico CAUDANA

 



Federico CAUDANA (1878-1963) vinse per concorso il posto di organista titolare e maestro di cappella del Duomo di Cremona nel 1907: lo tenne fino alla morte. 

Il suo nome è ancora oggi universalmente noto grazie alla sua messa popolare "Laus tibi Christe" (conosciuta come "Caudanina") ma soprattutto grazie all'inno "Lauda Sion - Christus vincit" che, composto in occasione del primo congresso eucaristico cremonese (Cremona, 8-11 maggio 1924), fece subito presa grazie all'innato talento del compositore nel creare melodie spontaneamente orecchiabili e cantabili dalle masse popolari. 

Infatti, come testimoniava monsignor Ernesto Moneta Caglio

«Caudana era eminentemente popolare: era la strada a cui l'avevano avviato i suoi primi educatori salesiani. Se scriveva per il popolo, ne uscivano canti che facevano subito colpo tra la massa. Basterebbe pensare al suo Lauda Sion e ai vari pezzi del Congresso Eucaristico del 1924. Se invece scriveva per la schola, le sue musiche miravano sempre ad essere comprese dal popolo».

Il "Lauda Sion" venne dedicato a monsignor Agostino Desirelli, parroco della chiesa di S. Agata in Cremona e presidente del citato congresso eucaristico di Cremona.

È certamente grazie alla risonanza creata da questo e da molti altri inni che l'editore di musica sacra Vittorio Carrara (in attività a Bergamo dal 1912) si accorse del valore di Caudana e subito lo contattò iniziando una proficua e prolifica collaborazione professionale, sfociante in una cordiale ed intima amicizia almeno dall'aprile 1928 (momento dal quale nel rapporto epistolare i due iniziano a darsi del «tu») e che durerà per tutta la vita. 

Appurata l'effettiva diffusione dei suddetti inni caudaniani nei tre anni dopo il citato congresso eucaristico – inni che già per quell'occasione l'editore bergamasco aveva stampato ad uso diocesano cremonese in una versione per canto e organo – Carrara non esitò a proporne la pubblicazione nel catalogo della sua casa editrice, confortato dal fatto che Caudana stesso gli confermava «da ogni parte ho richieste dei miei canti eucaristici, specialmente il Lauda Sion»; anzi, subito dopo la prima edizione a stampa del 1927 fu necessaria una ristampa in vista della festa del Corpus Domini, specialmente il Lauda Sion Banda, e canto ed organo. 

«Ormai è divenuto popolarissimo in molte diocesi - scrive Caudana a Carrara - e conviene farlo conoscere maggiormente con molta reclame. Il vescovo di Cremona desidererebbe farlo diventare canto ufficiale dei Congressi Eucaristici e mi pare stia facendo delle pratiche in proposito. Non sarebbe il caso di stampare la parte canto e organo separatamente dagli altri tre [inni]? [...] Desidero fare bella figura io, ma voglio che la faccia anche Lei come editore».


Nel contempo Caudana considerava, forse un po' amaramente, che «[il mio Lauda Sion] anche qui è stato eseguito migliaia di volte e non ho mai preso un ghello» e che, quindi, «se mi dovessero pagare in ragione delle volte che è stato eseguito il mio 'Lauda Sion' potrei comperarmi, se non l'automobile, almeno un carretto con il ciuccio». 

Già all'epoca si guadagnava poco o nulla di diritti d'autore per la musica eseguita nella liturgia, quindi Carrara è preoccupato, quanto meno, di ricevere il giusto introito con la musica degli inni e delle marce religiose eseguite dai corpi bandistici all'aperto durante le processioni: 

«Le bande del cremonese suonano quasi tutte gli inni miei da te pubblicati come marcie religiose nelle processioni e non so se hanno pagato: mi informerò presso l'agente dei diritti d'autore. Gli altri editori hanno pochissime marce religiose. [...] Mi pare quindi che tu facendo reclame dovrebbero eseguire quelle della tua edizione che sono belle».


Tuttavia all'epoca, quanto meno e a differenza di oggi, riguardo ai diritti d'autore per le musiche eseguite in chiesa 

«a Cremona e diocesi [le parrocchie] pagano tutte con una tassa fissa dal minimo di lire 10 a 50 all'anno, per la musica eseguita sull'organo. Quando però vi sono funzioni straordinarie, come uffici funebri (con messa da morto coi cantori) pagano altra tassa». 

E per questo – la cifra è comunque non paragonabile agli spropositati diritti che può guadagnare oggidì, ad esempio, un cantautore – nel maggio 1929 Caudana può quasi trionfante comunicare all'amico Carrara: «Ho ricevuto lire 20 di diritti d'autore: voglio comperare l'automobile come ha fatto il M.° [Alessandro] Marinelli [1865-1951]».

Tornando agli inni eucaristici caudaniani, la possibilità di un largo impiego dei medesimi abbiamo visto stare molto a cuore sia all'autore che, ancor di più, all'editore Carrara:

«Ti ringrazio tanto per aver pensato di far reclamare al mio "Lauda Sion" mettendo sull'"Araldo" [di gennaio] e consigliandolo come il canto dei pellegrini per l'anno santo. Dovresti scrivere al Presidente dei Congressi Eucaristici mons. Angelo Bartolomasi vescovo [Ordinario Militare a Roma] (mio buon amico d'infanzia) che faccia passare il suddetto inno ufficiale dei Congressi. [...] A proposito di inni eucaristici ti prego di un favore: il vescovo di Andria (Bari) [mons. Ferdinando Bernardi] mio compaesano ed amico mi ha scritto in questi giorni domandandomi copia dei miei inni eucaristici "Lauda Sion" e Al SS. Sacramento (Qual regni tra i nimbi) e Pange Lingua, perché desidera che vengano eseguiti al prossimo Congresso che faranno nella sua Diocesi. Io non ne ho copia: ti prego di farne spedire una copia di tutti per canto e organo».


Carrara provvede e Caudana rincalza: «Ti ringrazio delle copie "Lauda Sion" che mi hai mandato e delle copie che hai mandato a mons. Bartolomasi [...]: gli scriverò insistendo perché faccia passare presto come inno ufficiale dei Congressi Eucaristici il Lauda Sion e sarà bene che scriva anche tu».

L'opera di divulgazione 'nazionale' viene innescata nel marzo 1933: «Domani mi troverò a pranzo col mio vescovo mons. Cazzani e con mons. Bartolomasi. Tirerò in ballo il mio "Lauda Sion"» e infatti nel 1934 l'Ordinario Militare monsignor Angelo Bartolomasi scrive a Caudana notando con piacere la grande diffusione
del Lauda Sion, desiderando contribuire ad una maggiore ulteriore diffusione come inno ufficiale in tutti in congressi eucaristici e pregando Caudana di inviargliene dieci copie. Infine, giusto a testimonianza del grande successo popolare del Lauda Sion e degli altri canti sopra citati, ecco una breve cronaca della festa del Corpus Domini 1933 a Cremona: 

«Ho terminato ora la funzione in cattedrale: processione magnifica. Il mio Lauda Sion ed il mio Pange lingua hanno trionfato: il coro formato da tutto il seminario e da due altri Istituti (circa 300 cantori) accompagnati benissimo dalla Banda Cittadina composta da 65 ottimi elementi, ha fatto un grande effetto. Giunti in piazza del duomo (gremitissima) tutto il popolo cantava con entusiasmo i due canti. Una cosa veramente commovente».

La fama del Lauda Sion caudaniano raramente veniva oscurata: 

«Hai fatto bene proporre l'inno di Donini al Congresso di Fermo, ma sarà difficile che lo accettino perché in ogni regione vi è il compositore (quasi sempre un prete) che vuole imporre il suo inno: passa il mio Lauda Sion perché ormai è nel dominio pubblico, altrimenti boicotterebbero anche quello. Non hanno fatto così anche a Crema per il Congresso? Non hanno voluto il Lauda Sion di Caudana perché roba cremonese e non avendo il musicista cremasco capace di fare un inno si sono rivolti al Bambini perché dalle parti di Brescia!!! Ad ogni modo sono contento che cantino il mio e speriamo prendano anche quello di Donini che è molto bello».


[quanto sopra è tratto da: Paolo Bottini, Federico Caudana (1878-1963): vita ed opere di un musicista tra professione e vocazione, in «Bollettino storico cremonese» n.s., 13-14 (2006-2007), pp. 205-414; le citazioni sono tutte tratte dall'inedito epistolario Caudana/Carrara, reso disponibile dal comm. Vinicio Carrara (1921-2006), titolare della Casa Musicale Edizioni Carrara di Bergamo]

venerdì 13 dicembre 2024

Al freddo di queste liturgie (di David Maria Turoldo)

 



«[...] I morti doppiamente morti / al freddo di queste liturgie; / e ognuno torna alla sua casa / sempre più solo: / non ha più la gioia la gente / di credere. [...]» (David Maria Turoldo in "Questa non è notte", Marietti, Bologna 1989, p. 91)




mercoledì 4 dicembre 2024

Nelle Messe si può usare l'organo... oppure altro strumento che sia però legittimamente permesso!

 

L'organo "F.lli Lingiardi" (1865) della chiesa parrocchiale arcipretale dello Spirito Santo presso Cremona


Gentili lettori,

il 4 dicembre 1963 veniva promulgata la costituzione "Sacrosanctum Concilium" sulla liturgia, primo documento ad essere elaborato dai Padri riuniti nel secondo concilio ecumenico vaticano.

Vorrei porre l'accento non tanto sul noto (e sicuramente citatissimo) assunto principale dell'articolo 120 dedicato all'organo a canne [*], bensì sulla seconda parte «[...] Altri strumenti, poi, si possono ammettere nel culto divino, a giudizio e con il consenso della competente autorità ecclesiastica territoriale, a norma degli articoli 22-2, 37 e 40, purché siano adatti all'uso sacro o vi si possano adattare, convengano alla dignità del tempio e favoriscano veramente l'edificazione dei fedeli».

Anche l'istruzione vaticana "Musicam Sacram" del 1967 al n. 65 dichiara «Nelle Messe [...] si può usare l'organo, o altro strumento legittimamente permesso»...

Qui sta il vero busillis: vi sono oggi strumenti musicali ritenuti d'uso "pagano" o addirittura immorale - come denunciavano gli antichi Padri della Chiesa - da ritenersi banditi dal culto divino cattolico?

A me risulta che fino ad oggi nessun Ordinario diocesano (in Italia) abbia mai ufficialmente permesso - ma neppure vietato - l'uso di qualsivoglia strumento musicale!

Sarei grato a chiunque possa smentirmi scrivendo un commento!

Buon Avvento a tutti!

Paolo Bottini
www.paolobottini.it

Cremona, il 4 dicembre 2024

[*] Nella Chiesa latina si abbia in grande onore l'organo a canne, strumento musicale tradizionale, il cui suono è in grado di aggiungere un notevole splendore alle cerimonie della Chiesa, e di elevare potentemente gli animi a Dio e alle cose celesti. 

 

mercoledì 13 novembre 2024

L'inno a sant'Omobono di Federico CAUDANA




Paolo Bottini all'organo "Giuseppe Rotelli" (1901)
della chiesa dei Padri Barnabiti di s. Luca in Cremona
suona l'inno a sant'Omobono di Federico CAUDANA 



La melodia di quest'inno, tutt'oggi utilizzata in occasione della festa patronale di sant'Omobono il 13 novembre a Cremona, venne composta da Federico CAUDANA, organista titolare e maestro di cappella del Duomo di Cremona dal 1907 al 1963, in occasione del solenne pontificale del 22 maggio 1922 voluto dal vescovo Giovanni Cazzani per la traslazione delle spoglie di sant'Omobono dalla chiesa di s. Egidio alla cripta della Cattedrale, dove attualmente si trovano e sono venerate ogni 13 novembre; il sacerdote cremonese Giuseppe Ravasi, professore presso il regio ginnasio di Cremona, scrisse il testo del nuovo inno che Caudana musicò e del quale fece anche la strumentazione per banda due anni dopo, in occasione del primo congresso eucaristico cremonese svoltosi nel maggio 1924. Quest'inno andava ad incrementare la copiosa produzione innodica di Caudana, puntualmente pubblicata dall'editore Vittorio Carrara di Bergamo: ma un testo riferito ad Omobono non era spendibile altrove... se non togliendo il nome proprio ed appellando il santo di turno con un generico «Grande»! Ecco dunque, pubblicato nel settembre del 1927 dalla Casa Musicale Edizioni Carrara con il numero di edizione 700 (assieme agli altri, ben più celebri, Lauda Sion - Christus vincit e Pange lingua - Christus vincit), sul leggìo dell'organo della chiesa di s. Luca, potete vedere in questo video lo spartito originale dell'inno processionale per coro popolare all'unisono intitolato Al Santo Patrono e dedicato ai Circoli Cattolici della Diocesi di Cremona sui seguenti versi di Giuseppe Ravasi: O Grande che il Cielo di lauri incorona, Solenne il tuo nome tra gl'inni risuona: Nell'ansie supreme di fervida speme, Di giubil rapiti t'applaudono in cor. Gradito a Te salga, Celeste Patrono, il canto devoto di fede e d'amor. Tra una strofa e l'altra vi è, espressamente composto, l'Intermezzo della Banda, qui pure eseguito nella trascrizione originale per organo. Il testo attualmente in uso, scritto in tempi moderni da Ennio Sozzi per la diocesi di Cremona, così recita: O Padre, che vegli benigno Cremona, festoso il tuo nome fra gl'inni risuona, glorioso tra i santi in Cristo esultanti, con fervidi voti t'acclamano i cuor. Discordie componi, disperdi gli errori, infondi nei cuori la pace, l'amor.

Chi canta prega... tre volte! (Giacomo Baroffio su sant'Agostino e la "trina oratio")

Cantate Domino canticum novum



riflessione di Giacomo Baroffio nella II domenica per annum [B]



               domenica II dopo l’Epifania - 240114



Di passaggio in una comunità religiosa, ho lasciato una frase beneaugurale. Per forza doveva essere breve; avevo poco tempo e c’era poco spazio sulla carta. Conosco le sorelle da una quarantina di anni e mettono ancora tutto l’impegno per celebrare le Ore e l’Eucarestia quotidiane con il canto liturgico tradizionale. In modo sintetico ho scritto 

cantare è pregare almeno tre volte”.

Non ho certamente pensato di correggere sant’Agostino, al quale si attribuisce l’affermazione

chi canta prega due volte”.

Non ho questa presunzione, tanto più che – pur avendo letto e studiato il santo vescovo – non sono un suo discepolo, come invece è ancora Joseph Ratzinger, soprattutto quando testimonia la sua relazione figliale con l’Ipponate nella profondità, chiarezza e coerenza del suo pensiero filosofico e teologico.

La “duplex oratio” agostiniana evidenzia lo spessore e l’ampiezza del nostro pregare, quando riusciamo a esprimere la fede con il canto. S’avverte subito, rispetto al parlato, una particolare intensità, una tensione che pervade tutta la persona orante. 

Ogni preghiera – come può essere, ad esempio, il Pater noster – è pluridimensionale. Si esprime cioè con quella che possiamo chiamare una oratio trina. 

L’attenzione è spesso accalappiata dall’elemento musicale, melodico, armonico... Questo fatto potrebbe divenire un ostacolo, quando cantore e assemblea perdono il sentiero principale della fede finendo fuori strada in altri itinerari. Ad esempio, l’orgoglio della primadonna canterina. Si pensi al protagonismo assurdo dei diaconi ‘fustigati’ da papa san Gregorio Magno nell’anno 595. 
Altro pericolo si corre quando ci si lascia sedurre da una ricerca puramente estetica oppure da interessi storici o tecnici che ci renderebbero solo ridicoli. Perché mai? Per il fatto che forse potremo sapere tutto di un testo e di una melodia, senza però capire nulla di ciò che è in gioco.

Ogni preghiera cantata, in realtà, per essere vera è almeno “trina”. Porci alla presenza di D-i-o, spalancare a Lui la nostra esistenza: sono gesti autentici nella misura in cui avvengono grazie alla sinergia tra i vari ‘strati’ della nostra persona. Ne ricordo tre:

1] la dimensione fisica: è garantita dalle corde vocali, capaci di vibrare quando sono sollecitate da muscoli e dall’aria dei polmoni. L’emissione della voce dipende da tutta una serie di ingranaggi di un laboratorio in grado di affrontare finalità assai complesse;

2] la dimensione razionale: è capace di organizzare l’esistenza quotidiana in una prospettiva aperta al futuro, in continuo confronto tra i dati già acquisiti e il frutto delle successive riflessioni e proiezioni. Tutto sotto il controllo dell’intelligenza; 

3] la dimensione emotiva profonda: elabora i segnali dell’intuizione nel segno di una libertà e autonomia che trovano un equilibrio con la sfera razionale, per un progresso individuale e sociale, nel rispetto di ogni persona o gruppo.

Tutto ciò evidenzia un aspetto fondamentale della preghiera: essa presuppone l’accoglienza del dono gratuito della fede. Inoltre 

1] la preghiera riesce a svilupparsi nella semplicità assoluta dei figli che si rivolgono a D-i-o nel silenzio, con un sorriso, versando una lacrima, pronunciando una sola parola “Abba/Babbo”. 

2] La preghiera può raggiungere anche massime espressioni culturali, quali sono i testi di un sant’Agostino o di un sant’Anselmo. A livello musicale si pensi alle melodie gregoriane e alle opere di Johann Sebastian Bach. Per questi motivi mi sento di ribadire

cantare è pregare almeno tre volte: nell’impegnare il corpo, la ragione, l’emozione”.

Qualcuno potrebbe allora chiedersi: ma che significa “almeno”? Nulla di segreto; semplicemente non si esclude che grazie a un unico canto si possa pregare 4 o anche 40 o 4.000 o 40.000 volte. Succede più spesso di quanto uno possa immaginare. È l’esperienza di tanti credenti che durante la liturgia forse non sanno neppure distinguere tra un Sanctus gregoriano o una formulazione polifonica alla Palestrina. Il nostro credente, si trova forse isolato in mezzo a un’assemblea sconosciuta e anonima. Si potrebbe uscire dalla chiesa, si potrebbe pure rimanere fermi e gironzolare nei viali di tante distrazioni fantasiose che occuperebbero e darebbero un senso superficiale a quei minuti che scompaiono nel nulla. Tutto è possibile. Anche qualcosa che non ci si aspetterebbe. 

Accade l’evento canto-preghiera quando, guardando senza vedere nulla, si percepisce un canto in modo nuovo. Del testo si è sentito il solo inizio, con cui non si sa che fare. Ma un fioco “De profundis...” o un “Gloria...” aprono qualche cancello interiore. Ci si ritrova in un altro spazio, in una situazione diversa. Poco per volta ci si ritrova con se stessi, ci si stringe al proprio cuore dove palpita e risuona il cuore stesso di D-i-o. E ci si abbandona al canto che suscita un’eco nel profondo. Spezzoni di parole e poche note squarciano l’orizzonte come la stella ha guidato i tre Sapienti. 

Il canto non è più musica, ma luce che ci guida sempre più dentro di noi fino al centro del tempio interiore, non costruito secondo i paradigmi della generazione umana, bensì innalzato dalla potenza dello Spirito Santo. 

Allora si vive la sobria ebbrezza del Pneuma e si comprende l’esperienza di sant’Agostino quando ci confida: “Cantare amantis est”.

cantare è pregare con tutti i credenti
ridestati alla fede dal sonno
il loro numero sfugge a ogni censimento
è una sinfonia segreta dello Spirito Santo

       Bruder Jakob

martedì 22 ottobre 2024

Giovanni Paolo II sulla Musica Sacra


[Giovanni Paolo II canta il Prefazio nella basilica di S. Pietro in Vaticano nel 1996 
(clicca sull'immagine per guardare il video)]



Nel giorno liturgico del santo papa Giovanni Paolo II, ricordiamo i suoi interventi riguardo la musica sacra:





Giova ricordare che - purtroppo - nessuno dei succitati documenti può essere considerato vincolante dal punto di vista normativo, sicché è amaro considerare quanto oggi nella Chiesa cattolica non vi siano, nella pratica quotidiana, espressioni, diciamo, sovranazionali (propriamente, secondo il significato etimologico di "catholicos", universali) - di canto e di musica nel culto divino: ogni sacrestia la sua liturgia!

L'unico documento "ecumenico" in materia di musica sacra che dovrebbe essere preso come faro, non è altro che il capitolo sesto della costituzione "Sacrosanctum Concilium", primo documento in assoluto promulgato dal secondo concilio ecumenico vaticano... Ma basti pensare all'ambigua espressione «ceteris paribus» riguardante il supposto primato del canto gregoriano per capire che anche questo testo è stato frutto di compromessi sofferti...

Giovanni Paolo II invitava ad una «riflessione approfondita per definire i criteri di costituzione e di diffusione di un repertorio di qualità» (n. 5 del succitato "Discorso ai partecipanti al Congresso internazionale di musica sacra" tenutosi a Roma nel 2001): ad oggi il fantomatico Repertorio nazionale di canti per la liturgia della CEI (promulgato nel 200) è sicuramente poco considerato dalle diocesi e dalle parrocchie!

Nel medesimo documento citato, il santo papa dichiarava che l'apporto dei musicisti è indispensabile... salvo poco dopo auspicare una «generosa collaborazione»: questo presuppone forse che la collaborazione debba essere prestata gratuitamente?!... «Aqui està el busilis; Dios nos valga!».

Concludo citando ancora san Giovanni Paolo II (n. 3 della succitata catechesi del 2003): «Occorre purificare il culto da sbavature di stile, da forme trasandate di espressione, da musiche e testi sciatti, e poco consoni alla grandezza dell’atto che si celebra»... 

Forse vi chiederete: a chi compete vigilare ed attuare questa raccomandazione? Ve lo dico io: ai vescovi! Certo che, se è vera la grave affermazione del cardinale Joseph Ratzinger (interrogato da Giacomo Baroffio) che «i vescovi italiani non hanno nessun interesse per la liturgia»...

Grazie per la cortese attenzione e auguri di buona musica a tutti.


 

lunedì 7 ottobre 2024

Papa Giovanni XXIII e la musica - di G. Baroffio





Papa Giovanni XXIII e la musica


di Giacomo Baroffio


Esaminare quale sia stata la musica che ha interessato papa Roncalli durante il pontificato (1958-1963), aiuta a comprendere un tratto importante della sua personalità. Innegabile è la sua disponibilità ad ascoltare esecuzioni corali e orchestrali, mentre probabilmente non è stato musico attivo. Non risulta, infatti, che abbia imparato a suonare uno strumento. Non gli sono mancate occasioni per ascoltare concerti, di gustare la serenità emergente da emozioni profonde. Non si ascolteranno, tuttavia, da papa Roncalli riflessioni che affiorano dal cuore di Benedetto XVI (1927-2022). Il papa bavarese ha affinato la sua personalità grazie alla familiarità con le composizioni di maestri quale Wolfgang A. Mozart (1756-1791). Sulle virtù della musica, dono prezioso di D-i-o, papa Ratzinger si è espresso in molte occasioni. 

Su questo punto, il silenzio di Giovanni XXIII conferma un fatto: la musica – considerata nel senso corrente e rappresentata dalle grandi tradizioni ‘colte’ e orali ‘popolari’– non ha presentato un apice dei suoi interessi personali. Ciò non deve ingannare e condurre a conclusioni affrettate. Di fatto, sin da giovane Angelo G. Roncalli si è trovato in un clima spirituale molto particolare, oggi ignoto ai più – quello del seminario e del percorso formativo sacerdotale – secondo gli usi diffusi nei luoghi di formazione italiani.


formazione e radicazione 


La formazione del giovane Roncalli segue, come c’è da aspettarsi, la tradizione del tempo. Essa è assai diversa da quella odierna; sotto alcuni aspetti sembra riflettere la vita su un altro pianeta. I limiti sociali erano vissuti in un clima di fede che permetteva alle famiglie indigenti di condurre una vita dignitosa sostenuta dalla fede in D-i-o, avvertito vicino e provvidente. Angelo non doveva costituire allora un’eccezione; oggi sembra una reliquia che può lasciare interdetti. 

Bambini e ragazzi vivevano nei paesi dove le famiglie – nonostante eventuali eccezioni – si conoscevano, condividevano i frutti degli orti e dei campi. Si entrava in ogni casa e si usciva dopo una visita che durava il tempo giusto. I minuti o le ore permettevano di rinsaldare le amicizie, di offrire un aiuto, ottenere una consolazione. Talora un piatto di minestra, spesso un sorriso. 

Diffusa era la preghiera: i luoghi cambiavano secondo le stagioni, al chiuso e all’aperto. Le persone trovavano uno spiraglio che permetteva di condividere la vita di Gesù con i vicini. I ragazzini erano al centro dell’attenzione vigilante degli anziani. I giocattoli erano primitivi, ma aiutavano anche loro a stringere relazioni in continuo commercium del dare e ricevere senza calcoli egoistici. 

Oggi basta poco – salire su un bus o camminare in alcune strade – per rendersi conto che quella società non esiste più. Nei paesi le dimore sono sigillate; i condomini nelle città ospitano sconosciuti. I piccoli sono affidati a telefonini e aggeggi con cui talora si trastullano un poco, mentre spesso perdono se stessi nel nulla. Hanno la stanza piena di cose, ma non c’è la presenza costante – sempre leggera, mai opprimente – di una persona amica.

Per comprendere il cammino chiaroscuro percorso dal futuro pontefice, è necessario conoscere il suo mondo interiore, immaginare le sue reazioni: lo sbalordirsi di fronte a tante novità, il gustare la dolcezza di piccoli e ‘insignificanti’ accadimenti che rischiano di non essere percepiti e dei quali si gettano via i frutti più ricchi che stanno sbocciando: l’amore, quasi il culto, della verità, della giustizia, della condivisione gratuita che si ha nel donare il proprio tempo. E poi, vivere con i coetanei nella semplicità che sa riconoscere la gratitudine che si riceve, sa perdonare i torti che, forse senza nessuna malvagità, si è costretti a subire. 

Nell’itinerario che porta a D-i-o scopriamo le tracce di Gesù, sentiamo il suo richiamo, avvertiamo l’ebbrezza dello Spirito. Incontriamo finalmente noi stessi per quello che siamo, senza maschere che ci sono imposte o che noi indossiamo per non dovere affrontare le responsabilità che periodicamente vengono a galla, anche quando uno meno se l’aspetta.

Questa dovrebbe essere stata la giovinezza di Angelo. Un tempo segnato dalla consapevolezza dei propri limiti senza che ciò lo spingesse nel vicolo cieco dello smarrimento infantile che paralizza tante vite innocenti abbandonate a se stesse. Il giovane seminarista – grazie agli anni trascorsi a casa nella semplicità calorosa di un ambiente umano ricco di presenze religiose – avverte la responsabilità che deve assumere nel momento. 

L’esame di coscienza non si riduce a un meccanismo assurdo di tortura, ma è ciò che deve realmente essere: una conoscenza capillare, mai pignola, del nostro agire, quale rivelazione del nostro pensare e decidere nel profondo del cuore, nella intuizione libera e liberante, nell’ascolto della mente razionale e, ancor prima, del cuore.

Nell’attraversare il mondo della pietà popolare, Angelo prende notizia e si ritrova inserito nello spazio liturgico. Quanto non comprende direttamente dalla lingua latina gli è rivelato dalla reazione vissuta nell’ambiente rurale: lo sguardo verso il tabernacolo, la corona del Rosario sgranata che si muove e s’arresta per fare spazio all’ascolto di quanto viene rivelato ai semplici senza che siano necessarie formule complesse, talora aride e lontane. Il ragazzo si muove sotto lo sguardo del parroco e delle anziane verso i cui occhi egli presta attenzione fino a scorgere un lampo che segnala che cosa deve fare, dove andare. Senza saperlo sta diventando un compagno fedele di Gesù. Si sente pronto a servirlo. Non stacca più lo sguardo dalla mano del Signore e della Madonna: prima ancora di conoscere l’esperienza del salmo, egli vive e si dona pienamente al suo Signore e Maestro.

Questo primo percorso nella sequela Christi segna e orienta in modo indelebile il suo futuro nella Chiesa. Giuseppe Ormenese ha esposto in modo chiaro la Vita virtuosa cogliendo vari aspetti che aiutano ad avvicinarci al modo con cui Roncalli ha accolto e fatto fruttificare il dono di D-i-o.

La professione della fede è stata favorita dal superamento di una pietà che aveva superato il diffuso rigorismo con l’affermazione di un’esperienza di sentimenti vissuti dalla persona in carne e ossa. 


Le prime note effettivamente personali del 1895 riportano il proposito di «assistere con particolare e straordinaria penetrazione interna e fede alla santa messa» e un anno dopo quello «di non accostarmi mai ai santi sacramenti per usanza o con freddezza e di non impiegare mai meno di un quarto d’ora nel prepararmi». Le molteplici distrazioni o il mancato raccoglimento sono però il motivo dominante del periodo e i rimedi adottati fanno riferimento all’impiego di frequenti giaculatorie, intese come mezzi per ottenere «l’intima unione con Gesù... e Maria». È in tale contesto che il diciottenne Roncalli tematizza la scissione tra pietà interna ed esterna: «il più che io mi debbo procurare è una pietà interna, della quale l’esterna non è che una veste; pietà che si fondi sull’umiltà vera, della quale ho un grandissimo bisogno», segnalando in tal modo non solo un bilancio della propria spiritualità ma, in maniera indiretta, anche il dilemma che investiva la pratica cultuale tesa tra paradigma devoto e aspetto cerimoniale, avvertito quest’ultimo come significativo sul versante esteriore della corretta esecuzione, del portamento e della testimonianza da rendere agli altri.