Liturgia & Musica

Questo spazio nasce dalla mia esperienza di moderatore della mail circolare "Liturgia&Musica", avviata nel dic. 2005 per conto della “Associazione Italiana Organisti di Chiesa” (di cui fui segretario dal 1998 al 2011) al fine di tener vivo il dibattito intorno alla Liturgia «culmine e fonte della vita cristiana» e al canto sacro che di essa è «parte necessaria ed integrante» unitamente alla musica strumentale, con particolare riferimento alla primaria importanza dell'organo.

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domenica 23 giugno 2024

Decreto del Vescovo riguardo la Musica Sacra nella Liturgia

L'organo della chiesa concattedrale di Sanremo




Decreto del Vescovo 
riguardo la 
Musica Sacra nella Liturgia



Antonio Suetta
Vescovo di Ventimiglia - San Remo


Visto il can. 835 §1: "Esercitano la funzione di santificare innanzitutto i Vescovi, che sono i grandi sacerdoti, i principali dispensatori dei misteri di Dio e i moderatori, i promotori e i custodi di tutta la vita liturgica nella Chiesa loro affidata.";

Visto il can. 838 §§ 1-4: 1:
"§ 1. Regolare la sacra liturgia dipende unicamente dall'autorità della Chiesa: ciò compete propriamente alla Sede Apostolica e, a norma del diritto, al Vescovo diocesano.
§ .2 È di competenza della Sede Apostolica ordinare la sacra liturgia della Chiesa universale, pubblicare i libri liturgici, rivedere gli adattamenti approvati a norma del diritto dalla Conferenza
Episcopale, nonché vigilare perché le norme liturgiche siano osservate ovunque fedelmente.
§3. Spetta alle Conferenze Episcopali preparare fedelmente le versioni dei libri liturgici nelle lingue correnti, adattate convenientemente entro i limiti definiti, approvarle e pubblicare i libri liturgici, per le regioni di loro pertinenza, dopo la conferma della Sede Apostolica.
§ 4. Al Vescovo diocesano nella Chiesa a lui affidata spetta, entro i limiti della sua competenza, dare norme in materia liturgica, alle quali tutti sono tenuti.";

Vista la Costituzione Conciliare Sacrosanctum Concilium ai nn.
41: "Il vescovo deve essere considerato come il grande sacerdote del suo gregge: da lui deriva e
importanza alla vita liturgica della Diocesi che si svolge intorno al vescovo, principalmente nella chiesa cattedrale, convinti che cè' una speciale manifestazione della Chiesa nella partecipazione piena e attiva di tutto il popolo santo di Dio alle medesime celebrazioni liturgiche, soprattutto alla medesima eucaristia, alla medesima preghiera, al medesimo altare cui presiede il vescovo circondato dai suoi sacerdoti e ministri.";
116: "La Chiesa riconosce il canto gregoriano come canto proprio della liturgia romana; perciò nele azioni liturgiche, a parità di condizioni, gli si riservi il posto principale. Gli altri generi di musica sacra, e specialmente la polifonia, non si escludono affatto dalla celebrazione dei divini uffici, purché rispondano allo spirito dell'azione liturgica, a norma dell'art. 30.";
e 120: "Nella Chiesa latina si abbia in grande onore l'organo a canne, strumento musicale tradizionale, il cui suono è ni grado di aggiungere un notevole splendore alle cerimonie della Chiesa, edi elevare potentemente gli animi aDio ealle cose celesti. Altri strumenti, poi, si possono ammettere nel culto divino, a giudizio e con il consenso della competente autorità ecclesiastica territoriale, a norma degli articoli 22-2, 37 e 40, purché siano adatti all'uso sacro o vi si possano adattare, convengano alla dignità del tempio efavoriscano veramente l'edificazione dei fedeli.";

Visto il Decreto Conciliare Christus Dominus al n. 15: "Nell'esercizio del loro ministero di santificazione, i vescovi si ricordino bene di essere stati scelti di mezzo agli uomini e di essere stati investiti della loro dignità per gli uomini ni tutto ciò che si riferisce a Dio, affinché offrano doni e sacrifici per i peccati. Infatti i vescovi hanno la pienezza del sacramento dell'ordine; e da loro dipendono, nell'esercizio della loro potestà, sia i presbiteri, che sono stati anch'essi consacrati veri sacerdoti del Nuovo Testamento perché siano prudenti cooperatori dell'ordine episcopale, sia i diaconi, che ni unione col vescovo ed al servizio del suo presbiterio sono destinati al ministero del popolo di Dio. I vescovi perciò sono i principali dispensatori dei misteri di Dio e nello stesso tempo organizzatori, promotori e custodi della vita liturgica nella Chiesa loro affidata.
Metano perciò ni opera ogni loro sforzo, perché i fedeli, per mezzo della eucaristia, conoscano sempre più profondamente e vivano il mistero pasquale, per formare un corpo più intimamente compatto, nell'unità della carità di Cristo. «Perseveranti nella preghiera enel ministero della parola » (Al 6,4) pongano ogni loro impegno, perché tutti quelli cl sono affidati alle loro cure siano concordi nel preghiera e perché, ricevendo i sacramenti, crescano nella grazia e siano fedeli testimoni del
Signore.
Nella loro qualità di maestri di perfezione si studino di fare avanzare nella via della santità i loro sacerdoti, i religiosi e i laici, secondo la particolare vocazione di ciascuno (26) ricordino tuttavia di esse tenuti a dare essi per primi esempio di santità, nella carità, nell'umiltà e nella semplicità della vita. Conducano el Chiese loro affidate a tal punto di santi che ni esse siano pienamente manifestati i sentimenti della Chiesa universale di Cristo. Di conseguenza cerchino di incrementare più che sia possibile le vocazioni sacerdotali e religiose, e in modo particolare quelle missionarie.";

Visto il Direttorio per al vita e il ministero dei Vescovi Apostolorum Successores ai nn. 145-146:
"Il Vescovo, moderatore della vita liturgica diocesana. Come Pontefice responsabile del culto divino nella Chiesa particolare, il Vescovo deve regolare, promuovere e custodire tutta la vita liturgica della Diocesi.
Dovrà perciò vigilare perché le norme stabilite dalla legittima autorità siano attentamente osservate e in particolare ciascuno, tanto i ministri come ifedeli, svolga l'incarico che gli spetta e non altro, senza mai introdurre cambiamenti nei riti sacramentali o nelle celebrazioni liturgiche secondo preferenze osensibilità personali (427).
Compete al Vescovo dettare opportune norme in materia liturgica, che obbligano tutti nella Diocesi, sempre nel rispetto di quanto abbia disposto il legislatore superiore. Tali norme possono riferirsi, tra l'altro:
- alla partecipazione dei fedeli laici alla liturgia;
- all'esposizione dell'Eucaristia da parte dei fedeli laici, quando il numero dei ministri sacri risulti
insufficiente;
- alle processioni;
- alle celebrazioni domenicali della liturgia della Parola, quando manca il ministro sacro o vi sia un grave impedimento a partecipare alla celebrazione eucaristica;
- alla possibilità per i sacerdoti di celebrare due messe al giorno per giusta causa o, es lo richiede la necessità pastorale, tre messe nelle domeniche e nelle feste di precetto;
- rispetto alle indulgenze, il Vescovo ha il diritto di concedere indulgenze parziali ai suoi fedeli.
Il Vescovo saprà valersi dell'aiuto di uffici o commissioni diocesane di liturgia, di musica sacra, di arte sacra, ecc., che offrano un prezioso sostegno per promuovere il culto divino, curare la formazione liturgica dei fedeli efomentare nei pastori di anime un interesse prioritario per tutto ciò che riguarda la celebrazione dei divini misteri.
Dignità del culto divino. Giacché la liturgia costituisce il culto comunitario e ufficiale della Chiesa, come Corpo mistico di Cristo, costituito dal capo e dalle sue membra, il Vescovo vigili attentamente perché venga celebrata con il dovuto decoro e ordine. Dovrà quindi vigilare sul decoro degli ornamenti e oggetti liturgici, perché i ministri ordinati, gli accoliti e i lettori si comportino con la necessaria dignità, e i fedeli partecipino ni modo "pieno, cosciente e attivo", e tutta l'assemblea eserciti la sua funzione liturgica.
La musica sacra occupa nel culto un posto importante per dare rilievo alla celebrazione e suscitare una risonanza profonda nei fedeli; deve essere sempre unita alla preghiera liturgica, distinguersi per la sua bellezza espressiva ed adeguarsi all'armoniosa partecipazione dell'assemblea nei momenti previsti dalle rubriche.";

Vista l'Esortazione Apostolica post-sinodale Sacramentum caritatis al n. 39:
"Se è vero che tutto il Popolo di Dio partecipa alla Liturgia eucaristica, tuttavia ni relazione alla corretta ars celebrandi un compito imprescindibile spetta a coloro che hanno ricevuto il sacramento dell'Ordine. Vescovi, sacerdoti e diaconi, ciascuno secondo il proprio grado, devono considerare la celebrazione come loro principale dovere. Innanzitutto il Vescovo diocesano: egli infatti, quale «primo dispensatore dei misteri di Doi nella Chiesa particolare a lui affidata, è al guida, il promotore e il custode di tutta la vita liturgica». Tuto ciò è decisivo per la vita della Chiesa particolare non solo ni quanto la comunione con il Vescovo è la condizione perché ogni celebrazione sul territorio sia legittima, ma anche perché egli stesso è il liturgo per eccellenza della propria Chiesa. Alui spetta salvaguardare la concorde unità delle celebrazioni nella sua Diocesi. Pertanto deve essere «impegno del Vescovo fare in modo che i presbiteri, i diaconi e i fedeli comprendano sempre più il senso autentico dei riti e dei testi liturgici e così siano condotti ad un'attiva e fruttuosa celebrazione dell'Eucaristia». In particolare, esorto a fare quanto è necessario perché el celebrazioni liturgiche svolte dal Vescovo nella Chiesa cattedrale avvengano nel pieno rispetto dell'ars celebrandi, in modo che possano essere considerate come modello da tutte le chiese sparse sul territorio.";

Visto l'Ordinamento generale del Messale Romano al n. 41:
"A parità di condizioni, si dia la preferenza al canto gregoriano, in quanto proprio della Liturgia romana. Gli altri generi di musica sacra, specialmente la polifonia, non sono affatto da escludere, purché rispondano allo spirito dell'azione liturgica efavoriscano la partecipazione di tutti ifedeli. Poiché sono sempre più frequenti le riunioni di fedeli di diverse nazionalità, è opportuno che sappiano cantare insieme, ni lingua latina, e nele melodie più facili, almeno el parti dell'ordinario della Messa, specialmente il simbolo della fede e la preghiera del Signore.";

Visto il Sussidio della Conferenza Episcopale Italiana "Un messale per le nostre assemblee. La terza edizione italiana del Messale Romano: tra Liturgia e Catechesi", Precisazioni I, n. 2, p. 89: "Per quanto riguarda il sostegno strumentale, si usi preferibilmente l'organo a canne o, con il consenso dell'Ordinario, sentita la Commissione di liturgia e musica, anche altri strumenti che siano adatti all'uso sacro o che vi si possano adattare (cfr. CS 120). La musica registrata, sia strumentale sia vocale, non può essere usata durante la celebrazione liturgica, ma solo fuori di essa per la preparazione dell'assemblea. Si tenga presente, come norma, che nel canto liturgico deve risuonare la viva voce di ciascuna assemblea del popolo di Dio, la quale esprime nella celebrazione la propria


con il presente DECRETO


STABILISCO

che, a partire dalla data odierna e fino alla Solennità di Pentecoste del prossimo anno 2025 (8 giugno), si attivi in ogni comunità parrocchiale un percorso di formazione teorica e pratica inerente alla musica sacra per al liturgia.

In particolare segnalo iseguenti punti:
- conoscenza e adeguamento al repertorio nazionale dei canti per la liturgia;
- uso di strumenti musicali diversi dall'organo.


AFFIDO

al Servizio Diocesano per la Musica Sacra e al Dipartimento di Musica Sacra "Can. Giuseppe Maria Gogioso" eretto presso l'Istituto Teologico Pio XI il compito di:
- organizzare corsi di formazione diocesani e vicariali;
- censire igruppi corali parrocchiali;
- incontrare i principali gruppi corali al fine di fornire indicazioni operative e accompagnare li percorso formativo, interagendo soprattutto con i singoli direttori e/o responsabili di coro e con i singoli musicisti.

Scopi del percorso formativo sono:
sostenere al crescita delle conoscenze e delle qualità musico-liturgiche dei gruppi corali e dei gruppi musicali;
regoalet dael ari espereinze idsiali dialisi ai oroine une preseni uls teri mi peigai esclusivamente ni aggiunta all'organo e mai ni sostituzione di esso, salvo casi particolari previsti dalla normativa universale e particolare, o autorizzati di volta ni volta preventivamente e motivatamente dall'Ordinario diocesano.

Dalla Solennità di Pentecoste del prossimo anno 2025 (termine del percorso formativo teorico e paio) esuiderioni operavite,ni argoi vela or una di esampalre i,Dinoseci onos nfido'ra strettamente tenuti al Parrocchia N. S. Assunta (Cattedrale) ni Ventimiglia, al Parrocchia Basilica di San Siro (Concattedrale) ni Sanremo e li Seminario Diocesano "Poi XI" ni Sanremo.

Quanto al repertorio dei canti fanno eccezione, limitatamente ale celebrazioni particolari di Associazioni, Gruppi eMovimenti, irepertori specifici approvati dalla Santa Sede odalla Conferenza Episcopale Italiana.

Quando all'uso di strumenti musicali diversi dall'organo e utilizzati senza lo stesso, saranno previste eccezioni per occasioni particolari (gite, campi scuola, ecc.).

Le eccezioni di cui sopra saranno sempre concordate con l'Ordinario o con l'Ufficio di Musica Sacra.

Confido che queste indicazioni operative vengano accolte con sapiente docilità, avendo come
serviziomialeraidelacoelnationdidpiomiidconsgrandeomcealbiliai soleita dela liturgia, oltre ad essere lode a Dio, costituiscano il primo e più efficace contesto di evangelizzazione e che, secondo l'antico adagio "elx orandi elx credendi", l'attenzione e al cura dedicate al canto sacro concorrono acustodire eatrasmettere integro li patrimonio della fede.


Sanremo, 19 maggio 2024. Solennità di Pentecoste.

+ Antonio SUETTA , Vescovo di Ventimiglia - San Remo



 

mercoledì 1 maggio 2024

A quando la risurrezione del CANTO GREGORIANO ?! ...


L'illustre gregorianista Giacomo Baroffio (foto di Lorenzo Palmero)



A CHE PUNTO DI TROVA IL CANTO GREGORIANO?




*2000 nuova panoramica geopolitico-culturale*

Prima irriso, poi emarginato, infine eliminato: questo è il destino del CANTO GREGORIANO che getta un’ombra gelida sull’operato della Chiesa dopo la presa di posizione netta di papa Sarto, Pio X, con il Motu Proprio del 1903 sulla musica sacra.

Si sono moltiplicate parole ma insufficiente è stato l’impegno sul piano concreto operativo. 

Mentre cessava di risuonare in chiesa, il gregoriano si è diffuso altrove, in contesti talora ambigui. Una patina di estraneità rispetto alla musica di consumo gli ha aperto le porte delle discoteche e di ammucchiate di persone. Lo scenario è velato da ombre tenebrose. Cupo risuona il Dies iræ e con esso anche l’Alleluia, quando al banchetto pasquale si sostituisce la sbornia delle droghe. È quasi il canto del cigno che con crudezza rivela il dramma del figlio prodigo che non trova più il cammino per ritornare dal Padre. ​

Ma è inutile lamentarsi; è necessario chiedersi perché tutto ciò sia accaduto.  E come sia possibile porre un rimedio.

Il canto gregoriano è uno dei capitoli della civiltà occidentale la cui narrazione è tra le più lacunose con risultati nulli o assai incerti. La massima parte degli interessi si concentra su ambiti limitati, con casi estremi come uno studio dedicato a un singolo minuscolo segno notazionale o a un singolo canto. Tali lavori possono essere impegnativi e hanno certamente un valore, ma dovrebbero rientrare in un contesto di interessi assai più ampio, in un costante dialogo costruttivo tra gli addetti ai lavori e agli aspiranti apprendisti (si pensi alle numerose eccellenti tesi di diploma e di laurea). ​

Fino a metà del Novecento ricerche comparative sono state molto trascurate, nonostante lavori pioneristici; basti pensare a Gustav Jakobstahl († 1912), Paul Cagin († 1923), Abraham Zevi Idelsohn († 1938), Karl Ott († 19..), Urbanus Bomm († 1982). 

Solo pochi decenni or sono, un gregorianista che in Italia avesse voluto interessarsi ad altri repertori, nell’orizzonte di una corretta vergleichende Choralwissenschaft, era considerato un traditore della causa e bandito dal dominante cerchio magico. ​Oggi si sta affermando un movimento di interessi e di studi che fanno maturare la speculazione geo-politica, la cui urgenza dipende anche dalle condizioni storiche in cui ci stiamo trovando. 

È frequente sentir parlare di geopolitica, con tutto ciò che i due termini geo e politica suggeriscono nell’affrontare l’analisi dettagliata della situazione globale. Al momento non ci si accontenta più di imporre schemi di comodo per distinguere i singoli elementi in gioco. Su tutto pesa l’inerzia intellettuale che si è adagiata su concetti, il cui significato e uso appare sempre più ambiguo, contrario, talora persino contraddittorio. Parole ‘sacrosante’ come verità, libertà, pace finiscono per essere ingannevoli slogan pubblicitari, evidenti menzogne.

​Per conoscere quanto ancora si può sapere del gregoriano, è necessario allargare l’orizzonte e fare riferimento a tre poli Geo - politico - culturale

​La componente Geo sottolinea il fatto che occorre tenere presente la terra nella sua concretezza e molteplicità di esperienze vissute realmente. Quindi occorre fare un continuo lavoro di zoom tra individuo e comunità, persone e istituzioni.

Politico: il termine sottolinea l’importanza di una visione storica che tenga conto i fatti costituenti, appunto, la polis: la persona con le varie radicazioni nei terreni sociali, economici, diplomatici. ​

Cultura: anche qui emergono varie istanze da tenere presenti, cominciando da quella richiamata dal termine stesso fondamentale cultus, cioè la dimensione spirituale-religiosa dell’esistenza umana. Poi va dato spazio alla cultura in senso ampio e coerente, cioè alla formazione umana e professionale delle singole persone, alla comunicazione nelle molteplici modalità di lingue, segni, numeri... ​

Conoscere il gregoriano presuppone la dimestichezza con quanti lo hanno praticato: dagli anonimi compositori e maestri della tarda antichità e del Medioevo agli intellettuali che si sono occupati principalmente di questioni teoriche e filosofiche. Il repertorio liturgico cantoriale è presente nel mondo cristiano sin dall’inizio, da quando cioè si è innestato sulla tradizione giudaica nella prospettiva di dare risposta alle esigenze manifestate dalla nuova comunità di credenti. La maggiore difficoltà di stendere un affresco adeguato, che permetta di raggiungere una discreta familiarità con il mondo liturgico musicale, è dovuta principalmente alla mancanza di testimoni in grado di fornire dati inequivocabili.​

​Tutta una serie di domande e provocazioni derivano dall’analisi di quanto negli ultimi decenni e ancora oggi abbiamo vissuto e di cui siamo testimoni. È difficile che comportamenti frequenti – sia positivi che negativi – siano isolati e vengano considerati massi erratici casuali nel corso della storia. Anche nel nostro campo purtroppo la storiografia da sempre è condizionata fortemente dall’esito di differenti conflitti. 

In altre parole, ciò che si dice e si tramanda non corrisponde sempre alla situazione reale del tempo e dei luoghi, ma esprime soltanto l’opinione di quanti sono stati considerati i ‘vincitori’. Nelle relazioni interpersonali possono prevalere atteggiamenti scorretti che impediscono l’affermarsi della pars sanior. Difficile da stabilire tra gruppi diversi quale è prioritario, quale minoritario.

*          *          *

​È triste constatare l’emarginazione di avversari messi al bando e ai quali non è permesso di far sentire la propria voce. Ci sono singoli tiranni o gruppuscoli che finiscono per diventare centri di potere ridicoli, ma nefasti. Basti vedere la violenza ostinata dei ‘baroni’ universitari nel troncare la carriera di quanti potrebbero fare ombra al ‘capo’ e alla sua corte sventurata. D’altra parte, nella società umana è difficile che ci sia qualcosa di totalmente bianco o totalmente nero. I punti bianco e nero possono essere forse prevalenti; ma poi c'è tutta una vasta successione di sezioni grigie o di altri colori. ​

Che cosa sappiamo noi realmente della vita quotidiana delle grandi abbazie e nei piccoli monasteri nel passato? 

Uno degli esempi più chiari al riguardo lo fornisce l’abbazia francese di Solesmes. Rifondata nel 1833, presto è diventata un punto di riferimento per tutta la Chiesa cattolica, in particolare per l’attenzione prioritaria rivolta alla liturgia, ogni giorno celebrata con grande decoro, passione, fede. Solesmes è stata inoltre un’accademia culturale di primo ordine, riuscendo a coniugare in modo armonico le tre istanze fondamentali della vita monastica: la preghiera, la lettura, il lavoro. Ciononostante la comunità ha attraversato momenti difficili. Periodicamente ci sono state crisi dovute alla divergenza di opinioni tra i monaci – che avevano assunto la responsabilità di guidare le ricerche sul canto gregoriano – e i monaci subalterni. Le tensioni sono iniziate presto, già nella contrapposizione tra i primi due maestri Joseph Pothier († 1923) e André Mocquereau († 1930). Non c’è da meravigliarsi. Le relazioni interpersonali condizionano spesso la vita dei singoli monaci e dell’intera comunità, com’è avvenuto anche a Pomposa, nel caso drammatico di Guido d’Arezzo († 1050 ca.) costretto a lasciare l’abbazia. 

Chi pensa soluzioni o ipotesi contrastanti le scelte ufficiali, diventa estraneo e straniero in casa propria. ​Un fatto lascia perplessi: che cosa non ha funzionato a Solesmes e in tante comunità religiose e parrocchiali, in molti gruppi e solisti che si esibiscono (sic!) ‘abusando’ malamente del canto liturgico? 

Probabilmente si è sottovalutata la forza distruttrice dell’orgoglio: il veleno – che sembra imprimere energia vitale – ci convince di essere superiori agli altri, mentre in realtà sconquassa e abbruttisce tutta la nostra persona. ​Mi sembra strano che certe notizie negative non siano diffuse. C’è tutta un gamma di silenzi negativi dovuti a complicità e ipocrisia; talora il silenzio rivela superficialità e irresponsabilità oppure pusillanimità e paura. Fatto sta che sono poche le notizie come quella dell’intervento di papa san Gregorio Magno († 604) contro l’esibizionismo fatuo di alcuni diaconi romani.

​Ci deve essere qualche motivo se le ricerche non hanno condotto a risolvere problemi storiografici importanti, a dare una risposta convincente agli interrogativi. Chi ha sentito l’esigenza di un nuovo repertorio cantoriale? Chi ha cantato le prime melodie? Quando? Dove? Come? Perché? ​Un motivo imbarazzante mi sembra di trovarlo sempre nell’orgoglio umano che non alimenta la fiducia reciproca, ma genera frizioni e fratture. Mi sono bastate poche presenze a ‘concorsi’ di canto gregoriano per rendermi conto dello sfacelo di certi eventi, per esempio, il Concorso di Arezzo (per inciso, anche don Giulio Cattin disgustato ha lasciato allora la giuria aretina). “Concorso gregoriano” è un ossimoro: il nome stesso sottolinea l’antagonismo, il desiderio di primeggiare. Il prossimo diviene il con-corrente da superare e umiliare perché non rialzi la testa. In questo ambito va elogiato il Festival di Watou, in Belgio. È esclusa, prima di tutto, ogni forma di competizione. Quando l’ho frequentato, sono rimasto colpito dal dialogo costruttivo tra cantori e partecipanti.

​Temo che singoli cantori e interi cori, sia nelle relazioni interne che in quelle esterne, si lascino condizionare dal proprio orgoglio e contribuiscano così a sgretolare l’edificio corale. Basta pensare alle tante scissioni di compagini cantoriali, all’atteggiamento da ‘prima donna’ anche nei gruppi virili, al clima anarchico e confusionario che fa perdere attenzione e tempo nelle prove (sempre insufficienti).

​L’immersione nella realtà quotidiana di un coro, che ogni giorno intona le melodie nella celebrazione delle Ore e della santa Messa, permette di scoprire varie dinamiche che rientrano nelle previsioni o che possono sorgere impreviste. Si pensi al repertorio e all’occasione che s’affaccia quando qualcuno parla di un brano sentito altrove. Sulle prime c’è attenzione o indifferenza; in seguito può nascere nuovo interesse e si può collaborare insieme per rinnovare il repertorio, avere un canto pronto per qualche occasione particolare.

​In passato l’organizzazione liturgico-musicale era assai articolata, c’erano varie gerarchie da rispettare. Quale è stata la parte dei pueri, degli assistenti, del Maestro negli impegni quotidiani e nell’evoluzione dei repertori in uso, nell’eventuale adattamento di testi o melodie?

​Quale credito dare ai singoli autori, vittime di eventuali pregiudizi? Alcune volte è possibile scoprire dei circoli ermeneutici interessanti che obbligano a modificare il giudizio su fatti o persone di cui si conosceva soltanto un aspetto. 

Caso emblematico è la descrizione minuziosa della liturgia e dei suoi canti proposta da Amalario di Metz († 850). ​Considerato uno dei Padri dell’esegesi allegorica, proprio a causa della molteplicità delle sue interpretazioni ‘fantasiose’, alcune sue testimonianze non sono state prese in seria considerazione. Il confronto con pochi dati forniti dal cerimoniere di San Pietro in Vaticano, il canonico Benedetto nel Liber Politicus (1140 ca.), impone una revisione del giudizio negativo a vantaggio di entrambe le parti. I canti segnalati da Amalario appartengono veramente all'antico repertorio dell’Urbe; l’uso testimoniato da Benedetto nel XII secolo può essere fatto risalire almeno al tempo di Amalario.
 

*Tra pratica e ricerca: il singolo nel contesto comunitario*

Il canto liturgico nel Medioevo è al centro dell’attenzione nelle istituzioni ecclesiastiche dedicate alla formazione dei giovani. Si tratta delle scuole annesse alle cattedrali e ai noviziati dove crescono i futuri monaci. C’è un filo rosso che congiunge questi scuole medievali con felici isole ancora piene di vitalità. Oltre a leggere i testi che illustrano il passato, si può avere un’idea realistica frequentando oggi, per esempio, le scuole di formazione presso le cattedrali inglesi (a London anglicana [St. Paul] e cattolica [Westminster Cathedral]) o una Escolania sopravissuta presso alcune abbazie iberiche. In Italia notevole è l’istituzione moderna del coro annesso alla cattedrale di Lodi.

​Ogni sguardo al passato vissuto conferma alcuni aspetti di un’unica realtà: la presenza della Parola di D-i-o nella nostra esistenza. 

Pertanto: 

​1] il canto gregoriano vive e nasce nella liturgia quale accoglienza della Parola di D-i-o che ogni cantore fa risuonare affinché tutti gli oranti si uniscano a lui e con lui si rivolgano a D-i-o in rendimento di grazie;

​2] corista o solista, poco importa, ogni cantore accoglie dentro di sè – anche se non ha nessun mandato ufficiale – il dono della missione profetica. Pur peccatore e disgraziato, egli dà voce allo Spirito Santo di Gesù. Il cantore non può non cantare, e il suo canto è la Parola di D-i-o;

​3] ogni battezzato vive la Parola, vive della Parola, vive con la Parola. Per necessità interiore ogni battezzato avverte la necessità di approfondire il legame con la Parola, per conoscerla sempre meglio, per poterla vivere nel modo meno inadeguato possibile. Il cantore sente il bisogno di una preparazione supplementare che aiuti a superare le difficoltà presenti nel testo melodico;

​4] ogni cantore, compreso il solista, non vive isolato e non gestisce la sua diaconìa profetica da solo e a suo profitto individuale. Egli è sempre membro della comunità a servizio della quale egli si mette condividendo con gli altri i propri talenti artistici.
 
​Nel momento in cui religiosi e clero hanno abbandonato il gregoriano, la Chiesa ha subito una grave ferita. In attesa che tutti ci convertiamo e siamo in grado di ricominciare da capo la formazione cristiana, possiamo unirci in piccoli focolai virtuali e aiutarci a vicenda. Iniziando di nuovo a cantare e studiare. Sarà il momento fausto della rinascita-resurrezione pasquale.

 ut in omnibus glorificetur Dominus


[aprile 2024; la versione completa di questo articolo si trova nel sito "Organi & organisti"]


sabato 24 febbraio 2024

Per tornare a cantare tutti assieme il «Pater noster»...



Gentili lettori,

eccovi in calce validi motivi per mettere in pratica Sacrosanctum Concilium 54


«Nelle messe celebrate con partecipazione di popolo si possa concedere una congrua parte alla lingua nazionale [...]. Si abbia cura però che i fedeli sappiano recitare e cantare insieme, anche in lingua latina, le parti dell'ordinario della messa che spettano ad essi. [...]»!


Detto ciò, è ovvio che quella desiderata «cura» dovrebbe essere a carico innanzitutto degli eccellentissimi Ordinarii ...

Conoscete voi forse qualche vescovo che, più o meno regolarmente, pontifica in fatto di liturgia?...

Grazie per la cortese attenzione e cordiali saluti.

Paolo Bottini

Cremona, domenica 18 febbraio 2024, prima di Quaresima

* * *

Intervista di Massimo Franco a monsignor Sergio Pagano (prefetto dell'Archivio Apostolico Vaticano) [*]

CHE ERRORE CAMBIARE LE PAROLE DEL PADRE NOSTRO
Se si tratta di spiegarla e interpretarla, ma non si può modificarla a piacere

- Lei cosa pensa dei cambiamenti di toni - qualcuno dice perfino dottrinali - intervenuti negli ultimi anni, l'aggiornamento delle preghiere come il «Pater noster», questa scelta di rivolgersi ai fratelli e alle sorelle...

«Lei sfonda una porta aperta. Io sono, forse, in buona compagnia o forse in minima compagnia, scarsa o nutrita non lo so, ma del tutto perplesso e contrario, per quel che vale la mia opinione, a questo modo di procedere. Tuttavia, è il pensiero di qualcuno che conosce un poco di storia e che studia, e che pensa e che vede i precedenti. Ad esempio: a me ha fatto un grande dispiacere, mi ha dato un'amarezza che resta, il cambiamento deciso dalla Conferenza episcopale itaLiana del Padre nostro in lingua italiana, che è un'assurdità».

- Che cosa le è dispiaciuto? Il cambiamento della formulazione quando si dice, nella preghiera, «non ci indurre in tentazione»?

«Mi è dispiaciuto il modo in cui è stato cambiato il Padre nostro, e anche i termini del cambiamento deliberato.
Anzitutto il modo. Era fino a ieri saggia norma nella Chiesa, e speriamo che torni a esserlo in futuro, che, quando si trattava di ostacoli o difficoltà che si possono incontrare riguardo al testo della Sacra Scrittura, sia greco-latino, sia anche nelle lingue volgari, e che possono causare sconcerto nei fedeli, che prima di cambiare bisognasse sempre spie-gare. Che il passo del Padre nostro "non ci indurre in tentazione", , così tradotto già nelle prime versioni in lingua italia-na, e tradotto ottimamente dal testo latino, fin dal XVI secolo, creasse qualche difficoltà al senso comune dei fedeli che lo recitavano, è cosa scontata».

- Davvero ritiene che sia scontato? Crede che da tempo ci si ponesse e si ponga un problema di interpretazione di quell'espressione?

«Già il cardinale Roberto Bellarmino nel suo Catechismo del 1597 rilevava che c'erano difficoltà a comprendere quel passo. Ma si guardo bene, e con lui Clemente VIII, dal cambiarlo. Prese a spiegarlo. Cito un passo da una recente riedizione del Catechismo: "Non intendo bene quelle parole, non c indurre m ten-tazione; perciocché pare che voglia dire che Dio suol indurre gli uomini in tenta-zione, e noi lo preghiamo che non lo faccia. Indurre in tentazione o sia tentare al male, o sia far cadere in peccato, è proprio del demonio, e non appartiene in conto veruno a Dio, il quale ha in odio grandemente il peccato". Ma secondo il modo di parlare della Scrittura Santa, quando si parla di Dio, indurre in tentazione non vuol dir altro se non permettere che uno sia tentato o sia vinto dalla tentazione. Più chiaro di così. Spiegato così il testo, non occorreva alcun cambiamento, anche in italiano. Per la Sacra Scrittura la Chiesa ha avuto sempre una venerazione, la definisce Parola di Dio. E se è di Dio, come possiamo noi cambiarla? Studiarla, comprenderla, ma non cambiarla. Chi ha operato questo sventurato cambiamento, almeno tale a mio modo di vedere e con il dovuto rispetto, ha studiato le fonti? Si è reso conto della incoerenza scritturale del cambiamento rispetto al passo dei Vangeli sinottici di Matteo, Marco e Luca? Credo si sia perso il senso genuino del testo latino: "L'oro è saggiato dalla fiamma, per vedere se è puro o no; gli uomini, per vedere se sono probi, se sono buoni, devono essere saggiati dalla tentazione". Ma la tentazione non è voluta da Dio per dannare, osserva Bellarmino, o per mettere in difficoltà. Serve per vedere se tu sai stare in piedi o no su un terreno che è franoso. Ma mi lasci fare un ultima considerazione. Anche ai tempi di Galileo, quando lo scienziato pisano chiamava in causa diversi passi della Sacra Scrittura che apparivano a lui, scienziato e cattolico, ormai opporsi al nuovo sistema copernicano, e tali erano in verità, né papa Urbano VIII, né ancora Bellarmino, né la Santa Sede osarono toccare quei passi che avevano un senso letterale antiscientifico. Cosa si fece? Non cambiare, ma spiegare. Preso atto delle ragioni di Galileo, i teologi e gli esegeti ripensarono la dottrina dell'ispirazione dei libri sacri, pur di non toccare quel testo stabilito e sacro. Erravano gli scriventi, non lo Spirito Santo ispiratore della Scrittura. Siamo proprio certi che questo cambio delle parole del Pater sia un progresso? Io, per mio conto, continuo a dire il Pater in latino, così sorpasso a pie pari quel brutto cambiamento».

- Scusi monsignor Pagano: se la CEI ha deciso questo cambiamento lessicale, c'è da credere che il papa l'abbia avallata, no?

«Penso di sì, penso che sia stata avallata, chissà com'è stata giustificata, motivata. Io non sono nessuno, ovviamente, ma torno a ripetere che esprimo solo il mio parere personalissimo, perché mi è lecito esprimere un parere. E da studioso non posso ammettere una traduzione del genere perché tradisce il senso originale dell'orazione insegnataci da Gesù».


[*] Corriere della Sera, 18 febbraio 2024 https://www.pressreader.com/italy/corriere-della-sera-la-lettura/20240218/281844353558261

 

mercoledì 31 gennaio 2024

Disavventure di un organista liturgico



Egregio M.° Bottini,


lo dico con una certa amarezza: in questo momento non svolgo servizio liturgico in qualità di organista!


Ci sono diverse circostanze che hanno determinato questa situazione. 


La mia "carriera" di organista liturgico è consistita in un peregrinare tra diverse parrocchie seguendo i parroci più o meno interessati a un servizio liturgico basato su sobrietà e decoro (pochi canti di popolo, musica d'organo alla mia portata). 


Gli ultimi anni li ho trascorsi in una piccola parrocchia suonando alla messa delle 7.00 (sic!) con serenità, senza polemiche parrocchiali o "corsi di formazione serali" da parte di "commissioni liturgiche", direttori vanitosi, organisti (sè-dicenti) gelosi e una lista infinita di richieste inutili. Purtroppo sullo scorcio del 2019 è mancato il parroco di questa realtà passando sotto il controllo di una unità pastorale. 


Sono andato avanti a suonare sino alla pandemia, al termine delle prime fasi della quale mi è stato chiesto di riprendere, ma per motivi personali ho dovuto a malincuore declinare. A quel punto sono stato sostituito da altre persone e nessuno mi ha mai chiesto nulla.


Ad oggi si sono accavallati impegni familiari sempre più gravosi, un lavoro molto intenso e sinceramente non ho tanta voglia di stabilire dei contatti con realtà sempre più edulcorate dove l'impressione è sempre che mi facciano suonare per favore... vedremo col tempo. 


Suono ogni tanto quando vado in vacanza in una ridente località marittima, ove antichi legami con il parroco mi permettono di essere sempre il benvenuto.


Mi spiace molto perché ho sostenuto molti restauri, promosso concerti, scritto di organi, senza però nessuna riconoscenza e con poca fortuna per gli organi stessi, sempre messi da parte per cori, elettronici, chitarre, giovani tutti dilettanti allo sbaraglio... al contrario mai per organisti professionisti (che magari mi sarebbe piaciuto stare in chiesa ad ascoltare, da semplice fedele, senza mettere le mani sulla tastiera...).

La ringrazio per aver accolto questo mio amaro sfogo.


Cordiali saluti


Paolo Crescenzio

(ex organista liturgico nella diocesi di Trevi)