Gentili lettori,
lo scritto che in calce riporto, pubblicato nel febbraio 2007 nel "Notiziario" dell'Ufficio Liturgico Nazionale della Conferenza Episcopale Italiana [*], venne preparato dal vescovo ausiliare di Firenze
Claudio Maniago (nonché attuale segretario della Commissione Episcopale per la Liturgia) a favore del clero che si sarebbe poi riunito, il novembre successivo, ad Assisi al Convegno Nazionale dei Direttori degli Uffici liturgici diocesani che avrebbe avuto come tema giustappunto “Formazione liturgica e Ministero ordinato” [+].
Mi chiedo ad oggi quale sia il punto della riflessione in proposito, o piuttosto direi il punto della "azione", dato che, come sottolinea in conclusione il vescovo Maniago, i convegni sono, certo, non inutili momenti di confronto e dibattito... se però fanno scaturire
res, non verba!
Cari organisti e musicisti di chiesa, chiedete, anzi esigete dal vostro vescovo che in diocesi si impartisca una costante formazione liturgica del clero (non solo in seminario dunque): altrimenti sarà sempre vano il nostro sforzo di relazionarci con i parroci che (in un modo e in un altro) ci accordano fiducia (ed eventuale riconoscimento economico) in qualità di esecutori e/o coordinatori della musica per il culto.
Buona lettura e cordiali saluti.
Paolo Bottini
Cremona, 3 settembre 2012, memoria liturgica di
S. Gregorio Magno papa
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[+] cronaca del convegno scaricabile in PDF cliccando
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La formazione liturgica del clero
di Claudio Maniago
[...] Propongo innanzitutto qualche idea che nasce dalla lettura di alcuni documenti che parlano di formazione: formazione in generale e formazione liturgica in particolare.
Un dato interessante è che ogni volta che si parla di formazione non si tralascia mai un riferimento alla formazione del clero o dei ministri o dei responsabili delle comunità. Questo sicuramente non è un caso o un semplice dato statistico ma un’indicazione preziosa.
La
Sacrosanctum Concilium, come è ben risaputo, mette in atto una riforma e chiede un rinnovamento. Una riforma che cambia gesti, parole, preghiere, ma anche un rinnovamento che cambia il modo di celebrare. Emerge in modo significativo un tema che, dal Concilio in poi, ha una particolare rilevanza: la “partecipazione” che con i suoi vari attributi è stata oggetto di attenta riflessione e di molteplici studi. Di fatto, la partecipazione liturgica chiede un rinnovamento che non è soltanto esteriore, ma profondamente rituale, che coivolge cioè tutta la persona che celebra, le sue facoltà, il suo cuore, le sue emozioni.
Quando la
Sacrosanctum Concilium parla di formazione, la finalizza principalmente al perseguimento di questo obiettivo, la partecipazione, e per questo la raccomanda per tutto il popolo di Dio.
E certamente un accento cade sui vescovi e il clero in generale perché la logica è quella di pensare per primi ai formatori che nel popolo di Dio hanno questa responsabilità e vivono un autentico servizio per l’educazone del popolo di Dio. Ormai è convinzione assodata che una chiave decisiva è costituita dal formare bene i formatori.
Un altro aspetto che emerge leggendo i numeri della
Sacrosanctum Concilium che parlano di formazione, è che essendo la liturgia un autentico crocevia di diverse realtà che attengono alla vita della chiesa, il suo insegnamento risulta essere strategicamente importante. Per questo “va insegnata sotto l’aspetto teologico, storico, spirituale, pastorale e giuridico” (cfr. n. 16). Quindi, la formazione alla liturgia in qualche modo incrocia i vari aspetti della vita e dell’esperienza di fede di ogni fedele e, in particolare dei ministri e del clero.
Un altro aspetto che vorrei sottolineare, perché è interessante nei suoi sviluppi, è l’accento che la
Sacrosanctum Concilium pone sui luoghi di formazione, cioè i seminari (restringo per brevità le mie considerazioni al clero diocesano, ma il discorso dovrebbe essere ampliato ai luoghi di formazione dei religiosi e anche ai diaconi permanenti).
La vita dei seminari nel suo complesso e, quindi, non solo il momento accademico, deve essere formativo anche da un punto di vista liturgico.
È interessante al riguardo, il documento che nel 1979 la "Congregazione per l’educazione cattolica" ha prodotto riguardo alla formazione liturgica e spirituale nei seminari.
Vorrei sottolinearne un passaggio che mi sembra importante. In questo documento sono riportate due modalità di formazione (e anche qui, è immediato il riferimento al luogo in cui si formano i sacerdoti): una modalità è pratica e l’altra, per così dire, teorica; una più mistagogica, l’altra più dottrinale.
Nel numero 2, in particolare si afferma espressamente che «ogni genuina formazione liturgica richiede non solo la teoria ma anche la prassi. In quanto formazione mistagogica, essa si raggiunge principalmente per mezzo della vita liturgica degli alunni alla quale gli stessi vengono guidati con crescente profondità per mezzo delle celebrazioni liturgiche comunitarie. Questa accurata iniziazione pratica è inoltre premessa di ulteriore studio e deve ritenersi già acquisita nello svolgimento del programma di liturgia».
È questo un aspetto che mi preme sottolineare perché mi sembra utile alla nostra riflessione.
I vescovi italiani, a vent’anni dal Concilio Vaticano II, hanno prodotto un documento che, a mio parere, conserva ancora oggi una sua freschezza e si rilegge sempre con piacere, anche perché molti dei temi trattati, rimangono attuali per molti aspetti e quindi importanti anche dopo quarant’anni. Si tratta del documento "Il rinnovamento liturgico in Italia: nota pastorale a vent’anni dalla
Sacrosanctum Concilium".
Anche in questo documento, quando si tratta, nella prima parte, delle luci e delle ombre nell’applicazione della riforma liturgica voluta dal Concilio, al numero 3 si descrive come una delle “ombre” il fatto che «L’adozione dei nuovi libri e dei nuovi riti non è sempre stata accompagnata da un proporzionato rinnovamento interiore nel vivere il mistero liturgico e da quell’aggiornamento culturale, teologico e pastorale che la riforma avrebbe invece richiesto».
Nello stesso numero si fa dunque riferimento alla mancanza di un rinnovamento interiore e alla mancanza di un aggiornamento; quindi, di un certo tipo di formazione. Qui addirittura, sembrerebbero interessati due aspetti: quello pratico, dove la riforma rischiava di apparire soltanto come un cambiamento di aspetti esteriori, e dall’altro un approfondimento che era richiesto e che non ha seguito proporzionalmente il mutamento dei riti.
Non a caso, l’“ombra” che si cita successivamente è quella dell’impressione di un nuovo formalismo, forse meno appariscente ma ugualmente infecondo e illusorio.
Lo stesso documento, nel fare un bilancio a vent’anni dal Concilio, descrive, al numero 5, un vuoto da colmare ed espressamente afferma che «la causa della mancata comprensione dello spirito e dei fini della riforma è da ricercare nella scarsa familiarità dei fedeli al linguaggio, parole e segni, e alla spiritualità della liturgia e nella carente formazione liturgica degli stessi ministri di culto. Si deve riconoscere infatti che in passato lo studio della liturgia è stato generalmente carente, limitato alla conoscenza dei riti e delle rubriche, né si è dato sempre spazio alla nuova sensibilità che il movimento liturgico andava promuovendo e diffondendo anche in Italia».
Bisogna riconoscere quindi una “formazione carente”.
Anche nel numero 7 di questo documento dove si tratta il tema della presidenza liturgica, una presidenza da esercitare, si afferma che «I primi ad avere coscienza della necessità di un continuo approfondimento della formazione liturgica dovranno essere gli stessi ministri ordinati – vescovi, presbiteri e diaconi – ciascuno secondo le esigenze del proprio ruolo».
“Necessità di un continuo approfondimento”: con questa affermazione sembra quasi volersi indicare quella che dovrebbe essere un’attenzione costante che accompagna la vita della Chiesa, in modo particolare il suo celebrare.
È interessante che lo stesso numero del documento concluda dicendo che c’è una consapevolezza da rinnovare e da ridestare, una consapevolezza della specifica responsabilità, che è propria di chi ha un ministero, in rapporto alla liturgia. E credo che anche questo sia un dato da raccogliere come provocazione, come ulteriore indicazione per la nostra riflessione.
Dei documenti più recenti, vorrei ricordare soltanto la lettera apostolica che Giovanni Paolo II ha scritto nel XXV anniversario della Costituzione
Sacrosanctum Concilium. Un passaggio che mi sembra importante lo troviamo al numero 14: «Non si può dunque continuare a parlare di cambiamento come al tempo della pubblicazione del documento
Sacrosanctum Concilium, ma di un approfondimento sempre più intenso della liturgia della Chiesa, celebrata secondo i libri attuali e vissuta, prima di tutto, come un fatto di ordine spirituale».
Quindi, secondo Giovanni Paolo II, si passa da un cambiamento che c’è stato nella liturgia ad un approfondimento che deve essere sempre più intenso. Si direbbe, in un certo senso, che queste indicazioni mostrino che è necessario, riguardo alla liturgia e al celebrare, non soltanto un “sapere”, quanto piuttosto un “saper celebrare”, che – ovviamente – richiede qualcosa di più e di diverso ad ogni fedele e ai presbiteri in particolare.
Alla luce dei primi dati che emergono dalla lettura di questi documenti e di altri che trattano della formazione del clero e della formazione permanente, mi sentirei di suggerire alcuni punti di riferimento per la nostra riflessione.
Innanzitutto domandiamoci qual è la finalità della formazione del clero? Non trattiamo qui dei seminaristi, quanto del clero già “in attività”. Perché dobbiamo formare i preti alla liturgia?
Lo scopo non può che essere quello che la
Sacrosanctum Concilium ha ribadito con forza perché insito nella natura stessa della liturgia e, in generale, nella vocazione del popolo di Dio e cioè la «piena, consapevole, attiva partecipazione» (cfr. n.11).
È interessante notare che durante gli anni di insegnamento, quando si parla ai seminaristi o quando capita di parlare ai preti riguardo alla necessità di educarci e di formarci ad una autentica partecipazione alla liturgia, si nota sempre un po’ di sorpresa. Evidentemente, manca una consapevolezza che spinga anche chi presiede una celebrazione a curare la propria partecipazione, forse dandola per scontata e compresa nell’atto del presiedere.
La finalità della formazione del clero, quindi, non può che essere questa: un’attenzione, una cura verso la «piena, consapevole, attiva partecipazione». Parole che non sono inopportune o superflue neanche per i sacerdoti: anzi, forse proprio qui sta un po’ il punto su cui bisogna fare un passo in avanti.
Naturalmente, e questo vale in generale e non soltanto per i sacerdoti, va ricordato insistentemente che la partecipazione, non si esaurisce nell’esecuzione formale del rito, ma è partecipazione singolare al mistero di Dio, che nella celebrazione viene resa possibile “per ritus et preces”.
Quali possono essere le vie per una efficace formazione del clero?
Una via è sicuramente l’insegnamento che, sebbene abbia un suo specifico tratto e un suo momento fondamentale nel tempo del seminario, non si può dichiarare concluso con esso.
La liturgia, considerata sotto l’aspetto teologico, storico e giuridico, ma anche il cosiddetto aggiornamento, cioè l’approfondimento di quanto già appreso, interessa e abbraccia tutto l’arco del ministero del sacerdote. Per questo è necessario investirci di più e meglio.
Un’altra via è quella dell’iniziazione, nel senso che anche la formazione ha un suo statuto iniziatico e quindi anche un valore mistagogico che spinge ad aiutare i sacerdoti a rendersi sempre più conto del senso dei riti che celebrano. Anche questo aspetto non deve essere dato per scontato, né considerato esaurito nel momento dell’insegnamento di base.
Una terza via per la formazione del clero è la celebrazione stessa, il celebrare. Credo che questa sia una via da considerarsi oggi privilegiata perché, senza strumentalizzare la celebrazione, sfrutta la quotidiana prassi celebrativa nella convinzione che non ci si forma all’arte del presiedere se non facendone continuamente esperienza.
La celebrazione non ripete ma ogni volta è nuovo evento e inoltre, poiché la vita cristiana è plasmata dalla liturgia («il rito è una forma di vita che forma alla vita»), la celebrazione è una via importante anzi, in questo momento, addirittura fondamentale.
Valorizzando adeguatamente questa via, è poi possibile considerare il “prima” ed il “dopo” celebrativo: ossia, la possibilità di un insegnamento ulteriore, di un cammino e di un approfondimento del senso dei riti che può scaturire dall’esperienza, e quindi dalla celebrazione stessa, come luogo dove ci si forma in modo sostanziale allo stesso celebrare.
Chi è responsabile della formazione del clero?
La ‘Pastores dabo vobis’ in questo dà un’indicazione utile. Innanzitutto ogni singolo prete è da coinvolgere responsabilmente per il ministero che ha ricevuto e, considerando anche il complesso contesto in cui è chiamato a vivere il suo servizio pastorale, è da evitare la semplice tentazione di un attivismo che esaspera l’abbandonarsi alla routine e un ritualismo formale ripetitivo delle cose.
Spesso emerge anche una sorta di presunzione che – forse per un atteggiamento psicologico di difesa – spesso condiziona il modo di avvicinarsi e di vivere la liturgia. È una presunzione che fa credere di possedere gli elementi fondamentali dell’agire liturgico e che basti poco per imparare a “dir messa”, o di avere un’esperienza tale da aver altro da imparare. Questa è una presunzione pericolosa perché chiude le porte ad una sana formazione liturgica e ministeriale e impedisce che la propria esperienza entri in un dialogo costruttivo con altre realtà.
Certamente fra i responsabili della formazione bisogna annoverare il Vescovo e forse per il Vescovo stesso bisognerebbe pensare ad una possibilità di formazione perché la grazia di stato non può certo supplire ad una sempre maggior consapevolezza che dovrebbe animare il ministero del Vescovo-liturgo. Ricordo quanto fu positiva l’esperienza di formazione liturgica per i vescovi promossa dalla nostra CEI qualche anno fa. È giusto avere un’attenzione nei confronti di chi ha responsabilità nella formazione del clero e, non so come, ma credo che si debba escogitare qualcosa anche per i Vescovi.
Una realtà importante, da considerare quando parliamo di responsabilità della formazione del clero è il presbiterio diocesano.
Nell’ultima assemblea CEI, il Vescovo Monari ha parlato a lungo ed approfonditamente del presbiterio come di un luogo importante per la vita e per la formazione dei presbiteri, quindi anche riguardo alla liturgia. Verrebbe istintivamente da pensare che momenti da proporre per la formazione alla liturgia dovrebbero essere giornate di studio, sedute di riflessione, ecc. Una delle prime cose da fare invece è la cura delle celebrazioni ed in particolare di quelle che vedono coinvolto il presbiterio: celebrazioni che si vivono nei momenti di incontro a livello diocesano e anche ultra-diocesano, celebrazioni che hanno luogo laddove i presbiteri si ritrovano (esercizi spirituali, convegni e quant’altro). È necessaria una cura particolare di queste celebrazioni, che non venga vista semplicemente nell’ottica della realizzazione asettica di uno spartito o che si accontenti di qualche cambiamento formale di poco conto. [...].
In generale, ritengo utile anche quanto viene proposto nei convegni sia come momento di incontro e confronto che di approfondimento, ma sono da considerarsi come supporto ad un progetto più globale ed articolato.
[autore: vescovo Claudio Maniago, febbraio 2007]
[nota a cura di Paolo Bottini: per ulteriore approfondimento sull'argomento "formazione liturgica del clero", si consulti il n. 2/2007 di "Rivista Liturgica" il cui sommario è descritto cliccando
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