Oggi, 12 marzo, cade la festa liturgica di Gregorio Magno papa, santo e Dottore della Chiesa, dal nome del quale, sappiamo, il canto proprio della Chiesa latina è aggettivato "gregoriano".
Giacomo Baroffio
Tre possono essere i motivi per cui all’inizio del terzo millennio ci si può interessare al canto gregoriano.
1) Un motivo spirituale. Chi vive la fede cristiana s’accorge come la Parola di Dio necessiti di una mediazione che vada al di là della spiegazione filologica e dell’applicazione moraleggiante. Percepire la voce di Dio nella sua Parola è un’azione del cuore in ascolto di quanto le parole della Bibbia non riescono a esprimere. La musica è il linguaggio privilegiato del cuore: di Dio e dell’uomo. Il canto gregoriano ha la forza di incantare, distogliere il cuore dalle preoccupazioni perché si dilati e si orienti a Dio nell’adorazione e nel silenzio attonito.
2) Un motivo culturale. Chi è attento alle opere dello spirito umano, avverte la grandezza dell’arte poetica, la capacità di comunicare a livello profondo di emozioni con linguaggi che spesso non sono ordinari. Il canto gregoriano è un itinerario di bellezza e di armonia. Esso riassume l’esperienza poetica di decine di generazioni a partire dall’antico Israel fino alle espressioni mutuate dalle tante e diverse culture dove il cristianesimo ha portato il Vangelo, ricevendo in cambio nuove possibilità di comunicazione musicale.
3) Un motivo antropologico. Molti brani del repertorio gregoriano sono costruiti secondo particolari tecniche musicali sperimentate in ambito semitico (maqam) e indiano (raga). La melodia si muove su particolari circuiti mentali che obbligano a percorrere determinati itinerari legati alla memoria e alle sue variazioni, il tutto segnato da alternanza di conosciuto e di ignoto, di presente e di rimosso. Sotto questo aspetto il cantare e anche il solo ascoltare le melodie gregoriane può costituire un momento forte di terapia che permette alla mente di ricuperare la verità di se stessa.
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