Liturgia & Musica

Questo spazio nasce dalla mia esperienza di moderatore della mail circolare "Liturgia&Musica", avviata nel dic. 2005 per conto della “Associazione Italiana Organisti di Chiesa” (di cui fui segretario dal 1998 al 2011) al fine di tener vivo il dibattito intorno alla Liturgia «culmine e fonte della vita cristiana» e al canto sacro che di essa è «parte necessaria ed integrante» unitamente alla musica strumentale, con particolare riferimento alla primaria importanza dell'organo.

______________

martedì 2 dicembre 2025

La musica liturgica: tradizione, tendenze attuali e possibili scenari futuri (di F. Caporali)

Melozzo da Forlì, 1477, Re Davide salmista, foto di Sailko)



LA MUSICA LITURGICA: TRADIZIONE, TENDENZE ATTUALI E POSSIBILI SCENARI FUTURI






Si va dai giudizi impietosi di Riccardo Muti, che condanna le “quattro strimpellate di chitarra o canti approssimativamente intonati” sentiti durante una Messa, o del musicologo Quirino Principe, che afferma che la Chiesa postconciliare ha buttato a mare uno dei suoi massimi patrimoni culturali, fino all’assoluzione da parte di uno dei più autorevoli compositori contemporanei di musica sacra, padre Giuseppe Magrino: “Abbiamo ascoltato musiche sacre che hanno accompagnato i giovani (…) musiche di gioia, di fede, di speranza, di ricerca di Dio. Le musiche risultano spesso orecchiabili (…)  riescono ad aggregare giovani provenienti da diversi paesi e culture”. 

Il dibattito è tuttora molto vivo fra tradizionalisti e innovatori, dilettanti e diplomati, chitarra contro organo, coro contro assemblea, polifonia contro pop e chi più ne ha più ne metta.

In origine vi erano semplici canti sillabici intonati dalle prime comunità cristiane. Verso il V – VI secolo venne elaborato l’Antifonario, ossia il libro che conteneva i testi dei canti liturgici, apparvero le prime testimonianze di musicisti specializzati (Scholae) e fu elaborato il cosiddetto canto gregoriano, esempio perfetto di arte canora inserita nella liturgia del proprio tempo.

La musica liturgica divenne sempre più una forma d’arte esclusiva. Durante il Basso Medioevo vi furono abbazie celebri per la composizione musicale. Notre Dame di Parigi divenne famosa per la fastosità della musica polifonica con musicisti come Leoninus e Perotinus e per secoli gli intrecci contrappuntistici dei maestri di cappella furono protagonisti della storia della musica.

Nel periodo della Controriforma le disposizioni ecclesiastiche toccarono anche il campo musicale: si tentò di proibire le melodie profane nell’ambito della liturgia e si auspicò una maggiore sintonia con la celebrazione. La grande musica continuò a risplendere nella Liturgia durate i secoli tramite autori come Claudio Monteverdi, Antonio Vivaldi, J. S. Bach, W. A. Mozart.

Nell’1800 la musica liturgica ebbe il suo punto più alto di teatralità, con brani che ricalcavano cavatine e romanze d’opera. Dopo un netto taglio rispetto alla profanità dilagante dentro ai riti con il Motu proprio del 1903 – ed è questo il momento in cui la grande musica scomparve dalle chiese -, il Concilio Vaticano II negli anni ’60 del Novecento elaborò, sulla scorta della tradizione, i regolamenti per dare un significato diverso alla musica in chiesa. Vennero introdotti canti nelle lingue parlate, furono accolti strumenti moderni, si sperimentarono nuovi stili. 

Le decisioni del Concilio sono il segno di una messa a fuoco del ruolo che deve avere la musica in chiesa: l’interesse non va alla musica in sé ma all’assemblea del popolo di Dio che ne deve usare in modo proficuo; non è il mezzo che conta, ma le Persone che ne fanno uso; non è lo stile usato ma è l’efficacia di suscitare un Incontro; non è il tipo di repertorio ma il riconoscere le capacità in atto per manifestare nel canto l’Esperienza di Dio. 

È per questo motivo che, scorrendo le dichiarazioni conciliari si trova una larghezza di vedute che non chiude a nessuna epoca, a nessuno stile, a nessun linguaggio antico o moderno, purché sia adottato con pertinenza: “La Chiesa approva e ammette nel culto divino tutte le forme della vera arte, dotate delle dovute qualità” (tradotto: l’arte è importante, ma può essere arte una cantata di Bach come una canzone di Battiato). 

“Si conservi e si incrementi con somma cura il patrimonio della musica sacra e si promuovano con impegno le ´scholae cantorum´, senza trascurare la partecipazione attiva dei fedeli” (si può eseguire l’antico e comporre il nuovo nel rispetto della comunità orante). 

“La Chiesa riconosce il canto gregoriano come proprio della liturgia romana: perciò, nelle azioni liturgiche, a parità di condizioni, gli si riservi il posto principale” (se un’assemblea capisce l’antica lingua musicale gregoriana, ben venga la tradizione). 

“Non si escludano affatto nella celebrazione dei divini uffici, gli altri generi di musica sacra, e specialmente la polifonia” (tutti i generi sono ammessi, preferendo quello peculiare della Chiesa).  

C’è chi piega queste parole dalla parte della storia più o meno antica e chi vede porte per aprire al moderno, chi ammette il dilettante della chitarra e chi esige l’esperto diplomato. In realtà c’è posto per tutti. 

Probabilmente il dissidio sta nel fatto che nel momento in cui si parla di partecipazione, punto imprescindibile e inalienabile di riflessione, la musica che serve a questo scopo non è di fatto arte; è sicuramente un elemento di vitalizzazione interiore ed esteriore dei fedeli riuniti, ma non arriva a elaborare manifestazioni di “bello” da estrinsecare/contemplare. 

Quando interviene l’assemblea si può parlare di socialità del canto, di integrazione identitaria, ma non di “momento artistico”. Non è arte il canto comunitario, non è arte l’accompagnamento con qualsiasi strumento vi sia, non è arte la declamazione intonata, il versetto minimale, la codetta strumentale, il sottofondo d’atmosfera. L’arte, per contro, è frutto di dettagli studiati, di emotività chiusa in forme accurate e riconoscibili, di saperi professionali, di eloquenza articolata. 

Quando vi sono persone (cori, musicisti, solisti), spazi (collocazioni adeguate come adeguata è la posizione di quadri o arredi sacri), mezzi (strumenti perfetti, tecnologia antica e moderna) e tempi (se non si può concedere più di qualche minuto, la musica nella Liturgia non avrà mai la grandezza di quella del passato) per inserire momenti d’arte nella Liturgia allora si realizza un’aggiunta speciale, uno svelare/velare che enfatizza l’azione misterica. 

Il musicista o i musicisti/artisti a servizio del canto restano un semplice supporto funzionale; quando invece sono lasciati liberi di esplicare la loro tecnica, a condizione di tenere ben presente che il canto e la musica liturgica sono segno privilegiato della comunità ecclesiale che realizza l’unità nella fede e nell’amore e che occorre attivare buone intese con il celebrante e la comunità, allora possono interpretare/commentare/colorare esteticamente il momento celebrativo. 

La sua/loro opera aggiunge valore perché l’arte è quel “di più” teso fra razionale e irrazionale che rimanda ad un Mistero senza confini. 

Quando si ritroverà il giusto dialogo fra il rinnovato modo di sentire “qui e adesso” l’evento comunitario di culto e santificazione e la possibilità di inserire “arte”, forse ricompariranno sinergie preziose.


- articolo uscito sul periodico «Il Mosaico della Chiesa di Cremona», ISSN 2975-0962, Dicembre 2025