Gentili lettori,
consultate al seguente collegamento internet [*] ed eventualmente decidete di acquistare una copia cartacea del GRADUALE SIMPLEX!
È un libro liturgico ufficiale della Chiesa cattolica promulgato nel 1967, a pochi anni dalla chiusura del Concilio vaticano secondo, per ottemperare all'imperativo del n. 117 della costituzione conciliare sulla sacra liturgia "Sacrosanctum Concilium" di preparare «un'edizione [dei libri di canto gregoriano] che contenga melodie più semplici, ad uso delle chiese più piccole».
Ma si sa, purtroppo, che il latino e il canto gregoriano sono cose molto impopolari tra il clero italiano, se non addirittura palesemente (o peggio nascostamente) osteggiate...
Che bel successo sarebbe, invece, se questo libro fosse reso d'obbligo innanzitutto per i seminaristi: diventati preti, avrebbero sicuramente un punto di riferimento da proporre alle spesso scalcagnate forze liturgico-musicali delle parrocchie italiane...
I cori parrocchiali più diligenti, poi, potrebbero utilizzare il "Graduale seimplex" per imparare, quanto meno, il canto dell'ordinario della Messa (è incluso un "Kyriale" con le parti fisse) e ancor più i canti propri delle diverse solennità e tempi liturgici dell'anno.
Mai assistito a questa scenetta, qualche minuto prima della messa parrocchiale? «Ragazzi, prendete il libretto dei canti e vedete se c'è qualcosa che ci azzecca col Vangelo del giorno!»...
Ormai da decenni siamo abituati a fare canti passepartout, invece per molti potrebbe risultare sorprendente venire a conoscenza che ogni domenica dell'anno liturgico ha i suoi canti propri, i cui testi non sono cambiabili a piacere, mentre la musica può essere composta in modi differenti, sempre rispettando però il testo ufficiale dei canti del giorno.
È quanto scritto al n. 121 di "Sacrosanctum Concilium", quando si parla dei musicisti affinché «compongano melodie che abbiano le caratteristiche della vera musica sacra; che possano essere cantate non solo dalle maggiori scholae cantorum, ma che convengano anche alle scholae minori e che favoriscano la partecipazione attiva di tutta l'assemblea dei fedeli. I testi destinati al canto sacro siano conformi alla dottrina cattolica, anzi siano presi di preferenza dalla sacra Scrittura e dalle fonti liturgiche».
Vi chiederete ora: perché tutti i libri liturgici del Concilio sono stati adattati nelle lingue volgari e il "Graduale simplex" (assieme al fratello maggiore "Graduale romanum"), che contengono testi che non si dovrebbero mutare a piacimento (v. "Sacrosanctum Concilium" n. 22,3), sono rimasti patrimonio degli esperti di canto gregoriano e dei circoli di liturgisti (quelli di una certa frangia, perché altri il gregoriano lo aborrono, così come aborrono la lingua latina)?!
Il canto gregoriano del "Graduale simplex" come nuovo (si fa per dire) strumento di coesione liturgico-musicale dei cattolici italiani...
Ma il problema non è il canto gregoriano in sé, bensì la lingua latina: quale parroco avrebbe il coraggio di difendere l'utilizzo del latino nel culto davanti alle vive proteste dei fedeli, soprattutto dei genitori che si scandalizzerebbero che i loro figli vengano obbligati a cantare «Cantate Domino canticum novum» o «Ave Regina coelorum» ?! ...
Cordialmente vostro
Paolo Bottini
Cremona, il 4 luglio 2020
[*] ci vuole pazienza nel caricamento perché il file è molto pesante!
Come sarebbe bello anzi, espressivamente bello, se nelle chiese risuonassero quei canti che (grazie alle chitarre che aborro) sono stati dimenticati o mai conosciuti da tanti responsabili di coro! Comunque è un discorso che abbiamo già fatto. Il graduale simplex è un ottimo sistema per avvicinarsi alle melodie gregoriane ma, il vero canto gregoriano è ben altra cosa. Nel simplex mancano tutti i melismi con le relative notazioni neumatiche, questo ha reso le melodie più semplici e più abbordabili. Comunque l'averlo a disposizione on line è sempre utile.
RispondiEliminaBuone cose a tutti. Melani
domenica 5 luglio 2020
RispondiEliminacantate Domino canticum novum
Il M° Paolo Bottini ha spezzato una lancia a favore del Graduale Simplex. Comprendo le sue preoccupazioni, apprezzo il suo impegno per promuovere la vita liturgica con il suono dell’organo e il canto gregoriano. So che il meglio è peggio del bene e che parole balbettate possono essere più preghiera rispetto a incantevoli poesie e ardite speculazioni teologiche. A Bottini va quindi il mio grazie incondizionato e l’augurio che la sua missione giunga felicemente in porto.
Detto ciò per evitare di essere frainteso, mi permetto di condividere quanto penso da sempre del GS. Ne ho parlato più volte con p. Eugenio Cardine, al quale ho confidato le mie perplessità. Finiva sempre per rassicurarmi dicendo che avrei visto i risultati della diffusione del GS: sarà la ventata primaverile che darà di nuovo slancio al canto gregoriano nella liturgia. Con questa prospettiva il Maestro ha cercato più volte di arginare e demolire la mia posizione ‘brutale’: “Il GS non sarà la resurrezione del gregoriano; è la sua tomba”.
Sono giunto a questa amara conclusione, e non riesco a ‘ravvedermi’. È vero che la semplicità delle melodie, in teoria, potrebbe facilitare la loro esecuzione. Ma l’impianto strutturale del GS come un bulldozer comprime l’espressione togliendo al repertorio la sua caratteristica principale: proporre per ogni singolo momento di ogni azione liturgica uno specifico linguaggio cantoriale. Ripeto: uno specifico linguaggio cantoriale. È un fatto fuori discussione che ha contribuito a fare la ‘grandezza’ del canto gregoriano. Il GS, così com’è proposto per tutti i giorni dell’anno liturgico, paradossalmente nega a monte questo repertorio orante con mille sfaccettature melodiche e stilistiche, e lo riduce a un’antologia di spezzoni modali.
Non so quante comunità abbiano iniziato un cammino di responsabilità cantoriale con il GS fino a raggiungere la sensibilità e la tecnica che abbiano loro permesso di cantare qualche brano diverso, e non necessariamente più difficile, basta pensare all’innodia.
Non vorrei che nel recuperare il GS ci si limitasse alla dimensione musicale. Questa è certamente importante, ma è secondaria. Più e prima di impegnarsi nello studio delle musiche, non in quanto membri di un’assemblea in canto, ma per il fatto di essere semplicemente dei cristiani, ogni battezzato dovrebbe coltivare la vita sacramentale, dovrebbe ritrovare le vie della preghiera personale che s’intrecciano con la preghiera liturgica comunitaria. Soprattutto, va preso sul serio il dialogo che D-i-o da sempre propone alla creatura in molte situazioni e in tanti momenti. Dialogo che si purifica e si sviluppa nel silenzio, nell’adorazione, nella lectio divina. Senza queste tre dimensioni/occupazioni dello spirito, si rischia di confondere tutto e di non essere in grado di cantare il gregoriano quale preghiera di Cristo e della Chiesa. E a nulla allora serviranno il Graduale Romanum, il Liber Usualis, il Graduale Triplex, il Graduale Novum e tutti i sussidi di questo mondo. *Bruder Jakob*
Egregio M° Bottini,
RispondiEliminaormai dal 1955 suono l'organo regolarmente almeno a tre messe ogni domenica e solennità: sempre e solo perché mi sono "sponte mea" messo a disposizione (senza essere richiesto, dunque senza aver ricevuto qualsivoglia incarico, né formale né prettamente ecclesiale e, ovviamente, senza chiedere nulla in cambio).
Nell'arco di tutto questo tempo, nel ristretto ambito in cui ho messo a disposizione una professionalità acquisita con studi accademici e un'esperienza liturgico-musicale maturata sul campo, posso testimoniare una costante sostanziale accidia del clero nei confronti del canto sacro, di qualsiasi genere si trattasse!
Nelle nostre parrocchie si canta così, tanto per cantare, non perché il canto sia frutto di una esperienza cristiana viva: se veramente lo fosse, ben diversa sarebbe l'attenzione nei confronti di questa particolare espressione della sensibilità umana che è in grado di magnificare la parola semplicemente detta.
È sicuramente vero quanto dice il professor Baroffio riguardo il fatto che l'operazione del "Graduale simplex" ha offerto comunque una marcia scalata rispetto al Graduale Romanum, rimango però dell'idea che se questo sacro libro fosse stato reso d'uso obbligatorio (ricordo, comunque, che nella Messa il canto stesso NON è obbligatorio!), nel frattempo forse mezzo secolo di allenamento - diciamo così - avrebbe preparato i cattolici ad una più consapevole fruizione del Graduale Romanum, posto che l'intendimento di «Sacrosanctum Concilium» di far cantare attivamente il «popolo cristiano» nel culto divino mi pare non sia compatibile con l'utilizzo "popolare" di uno strumento di preghiera così raffinato, come è appunto il Graduale Romanum.
E poi, come Lei ha detto, la questione primigenia sarebbe non tanto il "problema" del canto gregoriano, ma la lingua stessa: quel «latinorum» che la maggior parte del clero stesso aborre e che ha deliberatamente sottratto dalla bocca del popolo.
E quindi mi pare ovvio che oggi ancora non vi siano le condizioni per propinare sistematicamente ai fedeli canti gregoriani in una veste filologica ed esecutiva scientificamente corretta, proprio perché la Chiesa (italiana?) dal 1963 non ha messo in piedi un sistematico progetto pedagogico affinché i fanciulli venissero educati alla fede anche mediante la costante frequentazione del «canto proprio della liturgia romana», lasciando invece tutto all'improvvisazione di qualsivoglia pasticcione (prete o laico che fosse) che avesse la pretesa di portare a termine un progetto "pastorale" efficace!
Ora, invece, se è vero che «il canto non è ciò che si canta, ma ciò che si vive» (così lo stesso Giacomo Baroffio che, a suo tempo da me interrogato, non ricordava più in quale occasione avesse scritto tale frase!), mi sembra che questa Chiesa non stia vivendo... ma solo canticchiando!
Ma a parte la questione del latino e il palese disimpegno della Chiesa verso una seria considerazione del canto liturgico - ritenuto veramente preghiera cantata e non solamente, come pare ancora quasi sempre, semplice "broderie" - sarebbe forse azzardato affermare che la legittimazione dell'abbandono del canto gregoriano nel culto divino sia scaturita dall'ambiguità di quel «ceteris paribus» di cui Lei aveva già disquisito in questo blog http://liturgiaetmusica.blogspot.com/2016/12/ceteris-paribus.html ?! ... Grazie in anticipo per l'ospitalità e cari saluti. G.S.