Cantate Domino canticum novum |
riflessione di Giacomo Baroffio nella II domenica per annum [B]
domenica II dopo l’Epifania - 240114
Di passaggio in una comunità religiosa, ho lasciato una frase beneaugurale. Per forza doveva essere breve; avevo poco tempo e c’era poco spazio sulla carta. Conosco le sorelle da una quarantina di anni e mettono ancora tutto l’impegno per celebrare le Ore e l’Eucarestia quotidiane con il canto liturgico tradizionale. In modo sintetico ho scritto
“cantare è pregare almeno tre volte”.
Non ho certamente pensato di correggere sant’Agostino, al quale si attribuisce l’affermazione
“chi canta prega due volte”.
Non ho questa presunzione, tanto più che – pur avendo letto e studiato il santo vescovo – non sono un suo discepolo, come invece è ancora Joseph Ratzinger, soprattutto quando testimonia la sua relazione figliale con l’Ipponate nella profondità, chiarezza e coerenza del suo pensiero filosofico e teologico.
La “duplex oratio” agostiniana evidenzia lo spessore e l’ampiezza del nostro pregare, quando riusciamo a esprimere la fede con il canto. S’avverte subito, rispetto al parlato, una particolare intensità, una tensione che pervade tutta la persona orante.
Ogni preghiera – come può essere, ad esempio, il Pater noster – è pluridimensionale. Si esprime cioè con quella che possiamo chiamare una oratio trina.
L’attenzione è spesso accalappiata dall’elemento musicale, melodico, armonico... Questo fatto potrebbe divenire un ostacolo, quando cantore e assemblea perdono il sentiero principale della fede finendo fuori strada in altri itinerari. Ad esempio, l’orgoglio della primadonna canterina. Si pensi al protagonismo assurdo dei diaconi ‘fustigati’ da papa san Gregorio Magno nell’anno 595.
Altro pericolo si corre quando ci si lascia sedurre da una ricerca puramente estetica oppure da interessi storici o tecnici che ci renderebbero solo ridicoli. Perché mai? Per il fatto che forse potremo sapere tutto di un testo e di una melodia, senza però capire nulla di ciò che è in gioco.
Ogni preghiera cantata, in realtà, per essere vera è almeno “trina”. Porci alla presenza di D-i-o, spalancare a Lui la nostra esistenza: sono gesti autentici nella misura in cui avvengono grazie alla sinergia tra i vari ‘strati’ della nostra persona. Ne ricordo tre:
1] la dimensione fisica: è garantita dalle corde vocali, capaci di vibrare quando sono sollecitate da muscoli e dall’aria dei polmoni. L’emissione della voce dipende da tutta una serie di ingranaggi di un laboratorio in grado di affrontare finalità assai complesse;
2] la dimensione razionale: è capace di organizzare l’esistenza quotidiana in una prospettiva aperta al futuro, in continuo confronto tra i dati già acquisiti e il frutto delle successive riflessioni e proiezioni. Tutto sotto il controllo dell’intelligenza;
3] la dimensione emotiva profonda: elabora i segnali dell’intuizione nel segno di una libertà e autonomia che trovano un equilibrio con la sfera razionale, per un progresso individuale e sociale, nel rispetto di ogni persona o gruppo.
Tutto ciò evidenzia un aspetto fondamentale della preghiera: essa presuppone l’accoglienza del dono gratuito della fede. Inoltre
1] la preghiera riesce a svilupparsi nella semplicità assoluta dei figli che si rivolgono a D-i-o nel silenzio, con un sorriso, versando una lacrima, pronunciando una sola parola “Abba/Babbo”.
2] La preghiera può raggiungere anche massime espressioni culturali, quali sono i testi di un sant’Agostino o di un sant’Anselmo. A livello musicale si pensi alle melodie gregoriane e alle opere di Johann Sebastian Bach. Per questi motivi mi sento di ribadire
“cantare è pregare almeno tre volte: nell’impegnare il corpo, la ragione, l’emozione”.
Qualcuno potrebbe allora chiedersi: ma che significa “almeno”? Nulla di segreto; semplicemente non si esclude che grazie a un unico canto si possa pregare 4 o anche 40 o 4.000 o 40.000 volte. Succede più spesso di quanto uno possa immaginare. È l’esperienza di tanti credenti che durante la liturgia forse non sanno neppure distinguere tra un Sanctus gregoriano o una formulazione polifonica alla Palestrina. Il nostro credente, si trova forse isolato in mezzo a un’assemblea sconosciuta e anonima. Si potrebbe uscire dalla chiesa, si potrebbe pure rimanere fermi e gironzolare nei viali di tante distrazioni fantasiose che occuperebbero e darebbero un senso superficiale a quei minuti che scompaiono nel nulla. Tutto è possibile. Anche qualcosa che non ci si aspetterebbe.
Accade l’evento canto-preghiera quando, guardando senza vedere nulla, si percepisce un canto in modo nuovo. Del testo si è sentito il solo inizio, con cui non si sa che fare. Ma un fioco “De profundis...” o un “Gloria...” aprono qualche cancello interiore. Ci si ritrova in un altro spazio, in una situazione diversa. Poco per volta ci si ritrova con se stessi, ci si stringe al proprio cuore dove palpita e risuona il cuore stesso di D-i-o. E ci si abbandona al canto che suscita un’eco nel profondo. Spezzoni di parole e poche note squarciano l’orizzonte come la stella ha guidato i tre Sapienti.
Il canto non è più musica, ma luce che ci guida sempre più dentro di noi fino al centro del tempio interiore, non costruito secondo i paradigmi della generazione umana, bensì innalzato dalla potenza dello Spirito Santo.
Allora si vive la sobria ebbrezza del Pneuma e si comprende l’esperienza di sant’Agostino quando ci confida: “Cantare amantis est”.
“cantare è pregare con tutti i credenti
ridestati alla fede dal sonno
il loro numero sfugge a ogni censimento
è una sinfonia segreta dello Spirito Santo”
Bruder Jakob
Nessun commento:
Posta un commento