Liturgia & Musica

Questo spazio nasce dalla mia esperienza di moderatore della mail circolare "Liturgia&Musica", avviata nel dic. 2005 per conto della “Associazione Italiana Organisti di Chiesa” (di cui fui segretario dal 1998 al 2011) al fine di tener vivo il dibattito intorno alla Liturgia «culmine e fonte della vita cristiana» e al canto sacro che di essa è «parte necessaria ed integrante» unitamente alla musica strumentale, con particolare riferimento alla primaria importanza dell'organo.

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lunedì 12 dicembre 2016

Fuga di cervelli (organistici)...


Gentili lettori,

recentemente Papa Francesco ha detto che bisogna dare ai giovani opportunità di lavoro per evitare la cosiddetta "fuga di cervelli"!

Ci sarebbe da chiedergli: « ... ma, Santità, fare l'organista liturgico potrebbe essere un lavoro oppure è da ritenersi un servizio caritatevole al pari del volontariato alla mensa del povero?!»...

Mi piacerebbe che il Papa rispondesse così:

«Auspico che quelli che tra voi hanno svolto studi professionali e hanno ottenuto un titolo accademico, presso un Conservatorio di Stato o presso i nostri Pontifici Istituti di Musica Sacra, possano veder riconosciuto anche dal punto di vista economico il proprio talento musicale a servizio della Chiesa, a norma del canone 231 del Codice di Diritto Canonico e a tutto vantaggio del decoro della sacra liturgia che "è il culmine verso cui tende l’azione della Chiesa e, al tempo stesso, la fonte da cui promana tutta la sua energia"»!

In particolare, ecco quello che il Papa potrebbe dire agli organisti: http://liturgiaetmusica.blogspot.it/2014/01/il-papa-agli-organisti.html .

Sta di fatto che sempre più giovani italiani decidono di trasferirsi all'estero per studiare e poi per lavorare a tempo pieno (o quasi) come musicisti di chiesa: «è doloroso che giovani preparati siano indotti ad abbandonare il proprio Paese perché mancano adeguate possibilità di inserimento» (queste sono le recenti parole di Papa Francesco)...

Santità, cosa possiamo fare per i giovani organisti italiani che bramerebbero mettere le proprie competenze professionali a servizio della Chiesa?!

Non mi aspetto una risposta... dato che nemmeno gli organisti che svolgono servizio nella basilica di S. Pietro in Vaticano godono di un regolare contratto di lavoro!

Grazie per la cortese attenzione.

Paolo Bottini

Cremona, il 12 dicembre 2016

domenica 4 dicembre 2016

Ceteris paribus




Gentili lettori,


sapete bene che molti vanno lamentandosi che la Chiesa, dopo il 4 dicembre 1963, ha definitivamente fatto morire il ruolo liturgico del canto gregoriano a dispetto di quanto indicato in "Sacrosanctum Concilium" n. 116:


« La Chiesa riconosce il canto gregoriano come canto proprio della liturgia romana; perciò nelle azioni liturgiche, A PARITA' DI CONDIZIONI, gli si riservi il posto principale. Gli altri generi di musica sacra, e specialmente la polifonia, non si escludono affatto dalla celebrazione dei divini uffici, purché rispondano allo spirito dell'azione liturgica». [*]

E forse molti di voi da tempo vanno chiedendosi cosa voglia dire quel sibillino «a parità di condizioni» (nel testo ufficiale latino "ceteris paribus")!...

Per fugare ogni dubbio, mi pregio riportare qui in calce due autorevoli interventi in subjecta materia che spero potranno essere dirimenti.

Nell'attesa di vostri eventuali graditi commenti, vi ringrazio per l'attenzione e vi saluto cordialmente.

Paolo Bottini

Cremona, il 4 dicembre 2016, giorno del 53° anniversario della promulgazione della costituzione sulla liturgia "Sacrosanctum Concilium"

* * *

Stiamo rileggendo alcune affermazioni della Sacrosanctum Concilium che nel corso degli anni sono state variamente interpretate. Vogliamo vedere se con qualche ulteriore riflessione si possano meglio chiarire.

Tra queste c'è quella relativa al canto gregoriano:

"La chiesa riconosce il canto gregoriano come canto proprio della liturgia romana: perciò nelle azioni liturgiche, a parità di condizioni, gli si riservi il posto principale". Nell'originale latino: "Ecclesia cantum gregorianum agnoscit ut liturgiae romanae proprium: qui ideo in actionibus liturgicis, ceteris paribus, principem locum obtineat" (n. 116).

In queste poche righe sono contenute tre affermazioni chiare e pacifiche.

- Si fa riferimento alla liturgia romana della quale il gregoriano è il canto per eccellenza. Tale identificazione ovviamente restringe l'ambito della questione; in altre parole il canto gregoriano è una questione che, di per sé, riguarda solo la liturgia romana.
Anche se per analogia la stessa questione si può trasferire nell'ambito della liturgia milanese relativamente al canto ambrosiano, o della liturgia beneventana o aquileiese in riferimento ai rispettivi repertori di canto. Operazione legittima, tenendo presente però che il deposito gregoriano è storicamente ed esteticamente il più importante, il meglio conservato, il più esemplare. Per cui è pienamente giustificata un "questione gregoriana", sia nella famiglia liturgica romana che nella più ampia comunità degli studiosi di altre famiglie liturgiche, perfino tra i non credenti, in considerazione degli alti valori spirituali, storici e artistici contenuti nel canto di Roma.

- Canto "proprio" della liturgia romana: qui c'è un riconoscimento da parte della Chiesa, una presa di posizione, una sorta di "definizione dottrinale".
Quanta musica e quanto diversa musica è stata scritta per la liturgia romana latina lungo i secoli, almeno dalla nascita della polifonia in poi. Tutta musica voluta, accettata, in qualche misura ripresa e riproposta fino ai nostri giorni, musica a volte sbagliata o sproporzionata o eccessivamente tiranneggiata dalle mode del tempo, ma il più delle volte adeguata e degnissima.
Tanta bella e buona musica, anche sotto il profilo liturgico, si è accumulata nella storia. Però solo il gregoriano è stato considerato "proprio" della liturgia romana.

- E perciò messo al 'primo posto', per logica conseguenza, in considerazione della sua storia, della sua singolare natura, dell'esemplare rapporto con i testi; "principem locum obtineat" anche da parte nostra, di noi che celebriamo nel terzo millennio, a prescindere, per ora, dalle innegabili difficoltà che il riconoscimento comporta.

Accanto a queste tre limpide affermazioni ci sta 'un inciso', breve e sibillino, che getta un po' di ombra e smorza ogni facile entusiasmo. "a parità di condizioni" (ceteris paribus), inciso che - legittimamente o meno - è stato subito riferito alla questione della partecipazione popolare.

Cosa significa "parità di condizioni"?

A cosa si riferisce questa parità? Ai repertori? Nel senso che i repertori popolari o polifonici devono equivalere in validità, spiritualità, efficacia rituale al canto gregoriano? Nel qual caso, pur potendosi scegliere fra tre uguali opzioni, è preferibile il canto gregoriano.

'A fortiori' se non c'è la parità, se cioè il canto popolare o polifonico fossero al di sotto del valore rituale e artistico del gregoriano. Se la parità si riferisce ai protagonisti, cioè ai fedeli che cantano (o ascoltano), allora il ragionamento andrebbe così impostato: come i fedeli sono in grado di capire il loro canto, la loro musica, il linguaggio del loro tempo, altrettanto devono saper recepire ed eseguire il canto gregoriano.

Se non c'è questa parità di preparazione e di comprensione il gregoriano perde il posto principale, risulterebbe un tabù da evitare. Gli va preferito una canto, forse meno paludato, ma pienamente compreso.

La condizione è dunque che i fedeli possano partecipare, comprendere, eseguire. Condizione che oggi - come vanno le cose, o come si sono lasciate andare - non si verifica quasi mai. Quindi!

Il discorso potrebbe chiudersi qui; e molti, nella Chiesa, lo hanno chiuso qui da anni. E ritengono inopportuno, "seccante", un ritorno sull'argomento, in quanto il canto gregoriano lo ritengono consegnato alla storia come prezioso oggetto da museo.

Noi pensiamo di poter andare oltre, ritenendo anzitutto indispensabile *distinguere tra chi esegue e chi ascolta*, se pur le due figure non coincidono.

*Coloro che eseguono* il canto gregoriano devono certamente conoscerlo, studiarlo; cosa che non è semplice, ma possibile a dei solisti o ad un gruppo scelto e motivato. Con una buona guida, con l'umiltà di procedere per gradi, con la gioia di scoprire tesori di bellezza e di spiritualità, costoro possono senza dubbio far propria la grande anima del canto gregoriano, anima medioevale e universale nello stesso tempo, da comunicare successivamente con intento di fraterna ministerialità ai sodali nella fede.

*Coloro che ascoltano* - i fedeli - devono essere messi nelle condizioni di recepire il "messaggio", al punto di sentirsi coinvolti e travolti dall'infallibile ondata orante che è la melopea gregoriana.

Non è impossibile: basta spiegare e tradurre il testo e metterlo a disposizione, introdurre il canto che tocca nelle sue generalità e nello specifico significato rituale con essenziali didascalie; distillare con intelligenza l'offerta gregoriana senza fanatismi ma con convinzione. Convinzione da estendere anche al fatto che ci può essere una vera e fruttuosa partecipazione di solo ascolto.

Qui sono gli animatori liturgici e musicali a peccare, in quanto si limitano ad utilizzare canti, gesti e movimenti solamente esteriori, a volte perfino banali (melodie e ritmi sguaiati, battimani, ondeggiamenti corporali.).

Anche se dell'antico canto i fedeli non posseggono una conoscenza e una pratica dirette, sono in grado comunque di arrivare ad una comprensione indiretta, con identici frutti spirituali, grazie all'ascolto consapevole e devoto. I fedeli hanno una sensibilità che aspetta solo di essere messa in vibrazione, in sintonia; che non è giusto defraudare dei modi più alti di preghiera. Lo si vede nei concerti, quanto la gente gradisca e assorbi avidamente le cose belle, pur impegnative, che si offre loro debitamente spiegate. Compreso il canto gregoriano.

Ma c'è un'altra considerazione da fare, importante e più direttamente riferita alle cosiddette "condizioni".

*Se ci sono già*, anche in misura parziale (circostanza fortunata e rara), vanno mantenute e incrementate come una bella tradizione, come una opportunità in più, una grazia che rende più agevole la preghiera e più adeguata l'introduzione ai santi misteri.

*Se non ci sono*, si può sempre tentare di crearle; possibilità che, stranamente, non viene mai presa in considerazione, un po' per pigrizia e un po' (o molto) per la paura di non riuscire, immaginando chissà quali sovrumane difficoltà. Si lasciano volentieri le situazioni come stanno, abdicando al dovere di educare.

"Educazione" invece è la parola chiave in queste cose: far conoscere, far capire, far amare, condurre per mano a pregare e a contemplare, dentro il "Sancta sanctorum", senza paura, con fiducia. Con vantaggio spirituale inimmaginabile.

Ce lo spiega il prof. Giacomo Baroffio:

"La Parola di Dio necessita di una mediazione che vada al di là della spiegazione filologica e dell'applicazione moraleggiante. Percepire la voce di Dio nella sua Parola è un'azione del cuore in ascolto [ecco l'ascolto, n.d.r.] di quanto le parole della Bibbia non riescono ad esprimere. La musica è il linguaggio privilegiato del cuore: di Dio e dell'uomo. Il canto gregoriano ha la forza di in-cantare, distoglie il cuore dalle preoccupazioni perché si dilati e si orienti a Dio nell'adorazione e nel silenzio attonito".


Siamo al 'top' della preghiera cantata, della contemplazione. Che squallore sentire suore di clausura trascinarsi con canterelli alla moda, su ritmi di chitarra! Nessuno che spieghi loro queste sublimità?

Ceteris paribus!

Siamo partiti da lì: due parole che vengono avvertite e presentate "terroristicamente" come un muro insormontabile. In realtà costituiscono più spesso un alibi per accantonare il problema o per non impegnarsi in una operazione culturale alla quale non si crede.

Se, al contrario, vi si crede lo sbarramento "ceteris paribus" viene smontato, le condizioni richieste vengono create e un po' di gregoriano può essere ricuperato, insegnato e cantato.

Ah! Rimane l'ideologia, una ideologia contraria per DNA ad ogni repertorio fossilizzato del passato, che si esprime più o meno così:

"Bisogna inventare un nuovo linguaggio liturgico-musicale.che presti attenzione al presente per far parlare la cultura viva dei fedeli. E oggi, questo lo si sta facendo, con difficoltà si tenta di far cantare il popolo con il proprio linguaggio, con il proprio stile. È il cristiano di oggi che vuol cantare al suo Dio e lo vuol fare con la propria sensibilità musicale. È importante che celebri bene e non che impari o ripeta un repertorio passato (compito della liturgia non è quello di salvaguardare repertori e culture del passato). Ogni comunità dovrebbe avere il suo repertorio, e non invidiare altre comunità che hanno repertori più belli: dovrebbe invece preoccuparsi che il proprio repertorio l'aiuti a realizzare gesti vivi e a celebrare bene". (1)

Riassunto della citazione: col gregoriano non si celebra bene. bisogna inventare un linguaggio d'oggi per gesti vivi. Sbaglia la Chiesa ad additare un repertorio morto. Se poi ci si mette anche Benedetto XVI!

È l'indirizzo di un Ufficio liturgico diocesano! Si caecus caecum ducit!     

Anche il gregoriano può essere linguaggio nostro perché lo è della Chiesa millenaria; come la cattedrale romanica è nostra come lo fu dei cristiani del sec. XII.
Anche il gregoriano favorisce un pregare vivo e profondo perché trasmette interiorità più di qualunque canto "attuale" a cui allude il responsabile di quell'Ufficio liturgico.

Un'ultima osservazione.

Quelli della tesi negazionista si fanno forti del n. 50 dell'istruzione "Musicam Sacram" (1967) che, con un'aggiunta al testo conciliare, dice:

"Nelle azioni liturgiche in canto, celebrate in lingua latina, al canto gregoriano, come canto proprio della liturgia romana, si riservi, a parità di condizioni, il posto principale".


L'aggiunta "celebrate in lingua latina" sembra voler mitigare l'affermazione della Sacrosanctum Concilium: la disposizione - secondo l'aggiunta esplicativa - si riferirebbe unicamente a una celebrazione tutta in lingua latina, idioma al quale il gregoriano è indissolubilmente legato.

Siccome liturgie integralmente in latino non se ne fanno praticamente più, la raccomandazione di cui ci stiamo occupando non ha più molto senso, cade da sola. E il presunto primato del gregoriano verrebbe fortemente ridimensionato. Del resto far cantare la gente in latino oggi sarebbe una scelta pastorale controproducente.

Ragionamenti capziosi, che non colgono o non vogliono cogliere tutta l'ampiezza del discorso, che va ben oltre la messa latina del concilio di Trento o del Vaticano II.

Lo stesso concilio Vaticano II nel successivo n. 117 ha chiesto "un'edizione più critica dei libri già editi dopo la riforma di san Pio X" e ha ordinato una edizione "con melodie più semplici ad uso delle chiese minori" (ciò che fu fatto con il "Graduale simplex"); Paolo VI ha inviato a tutti i vescovi il libretto "Jubilate Deo" perché in qualche misura continuasse la pratica del gregoriano nella Chiesa romana; Giovanni Paolo II nel Chirografo "Mosso dal vivo desiderio" del 2003 ne parla con una certa ampiezza, usando le stesse parole di Pio X e Benedetto XVI ne auspica almeno un parziale ritorno, a riprova che il canto gregoriano è considerato attuale, riferito anche alla nostra liturgia riformata, in qualunque lingua e forma venga celebrata.

La "Sacrosanctum Concilium" (documento prioritario e più autorevole rispetto all'istruzione "Musicam Sacram") infatti non fa distinzioni; inoltre stabilisce che "L'uso della lingua latina, salvo diritti particolari, sia conservato nei riti latini" (n. 36).

La volontà di fondo della Chiesa è più che chiara, vuole che il canto gregoriano rimanga nella liturgia: come preghiera viva e non come espediente per "salvare un patrimonio". E non sarà un gruppetto scalpitante di musicologi, o liturgisti che siano, a stravolgere l'evidenza di una costituzione conciliare.

Rimangono le difficoltà, alle quali abbiamo accennato. Queste si, indubbiamente. E non sono da sottovalutare.

Come non è da banalizzare la *questione-gregoriano nel suo insieme* oggi nella Chiesa cattolica romana. E neppure è il caso di farne meschina questione di documenti più o meno chiari. Siamo i primi ad esserne coscienti. È un problema pastorale troppo serio.

A noi interessava sapere fino in fondo come stanno le cose.
Nel concreto ognuno poi si comporterà responsabilmente come crede, o come già sta facendo.

Una volta tanto possiamo sottoscrivere quanto afferma Felice Rainoldi a questo proposito:

"Bisogna conoscere bene le possibilità sempre attuali di un repertorio di genuina ricchezza, ed insieme valutare il limite intrinseco di uno sconsiderato uso liturgico del gregoriano. Né idolatrie dunque, né miopie allergiche. Come ogni tesoro, esso deve aiutarci a vivere da credenti nella storia. Solo nella misura in cui potrebbe ostacolare una crescita o un cammino, anche un tesoro potrebbe essere considerato zavorra da scaricare". (2)

Solo l'ignoranza e l'impreparazione, però, possono far considerare il gregoriano un ostacolo alla crescita.

don Valentino Donella


NOTE

1 - "Situazione e prospettive della musica sacra", a cura dell'Ufficio liturgico di Bari, in Bollettino Diocesano, luglio-agosto 1981, p. 64. La posizione preconcetta e negativa nei confronti del canto gregoriano è, però, comune a tutta l'area del movimento "Universa Laus".

2 - "Gregoriano (repertorio e canto)", Glossario, in Musica e Assemblea, n. 114, 2/2000, p. 23.


- [il sopra citato articolo di don Valentino Donella è stato pubblicato in «BOLLETTINO  CECILIANO», ANNO 104, N. 3, Marzo 2009


§ § §


Premessa essenziale: ogni epoca ha diritto di modificare il proprio linguaggio parlato o cantato, cosa che avviene inevitabilmente e per epoche storiche. Anche il canto gregoriano ha subito una complessa evoluzione e innumerevoli addattamenti specialmente dopo il sec. VIII con importanti commistioni di canti di provenienza gallicana, mozarabica, anglicana ...

Il canto liturgico non prevede nessun tipo di fissità, ma si modifica attraverso una continua, sapiente selezione dalla quale emergono e si stabiliscono più o meno a lungo i canti che meglio interpretano la Parola rituale.

L'espressione "ceteris paribus" è la chiave di comprensione per evitare le innumerevoli discussioni che si contorcono intorno alla possibilità o meno di inserire qualche canto gregoriano nel repertorio musicale celebrativo.

Esiste dunque, da un lato il canto gregoriano, da secoli repertorio esemplare per la sua forza interpretativa dei testi celebrativi cristiani; un canto che esalta fino all'ornamento melodico il contenuto della Parola sacra; abbiamo dall'altro lato il canto su testi in lingua parlata che mira allo stesso scopo con alterni risultati.

Per creare un repertorio adeguato si richiedono secoli di intelligenti selezioni ...

Il n. 116 della SC intende dichiarare l'esemplarità del canto gregoriano in riferimento al servizio della Parola celebrativa. Non intende escludere altri repertori, purché si avvicinino al repertorio che nel tempo si è mostrato somma interpretazione della Parola liturgica.

"Ceteris paribus", tradurrei liberamente: dovendo scegliere tra "repertori diversi, ma ugualmente efficaci nell'interpretare un adeguato testo liturgico"; dato per scontato che i testi siano compresi, che gli esecutori siano in grado di eseguirne le melodie decorosamente, che i destinatari siano in grado di capire e di eseguire, si dia la preferenza (non esclusiva) al canto gregoriano.

Perché? il canto gregoriano è il frutto di secoli di contemplazione, studio, approfondimento sapienziale e tecnico, di esperienza nella vita, della Parola biblico-liturgica (cosa che non si può dire avvenga per tutti i compositori che scrivono e gli esecutori che cantano oggi per la liturgia).

Amore alla liturgia, preparazione professionale dei responsabili, umiltà e senso critico, autocritico, conoscenza del "bello musicale", sono le condizioni indispensabili per giungere alla formazione di un repertorio degno del celebrare cristiano.

fra' Olivo Damini OFM

sabato 29 ottobre 2016

Come recuperare un'educazione al canto sacro?


Gentili lettori,

recentemente vi ho segnalato il testo della "Ratio Studiorum" per i seminari nel decennale della promulgazione [1], documento nel quale sono abbastanza puntualmente raccomandate norme per l'educazione musicale dei chierici.

Invece, nelle nostre parrocchie i laici - a partire dai giovani - come vengono educati (ammesso che lo siano veramente da qualche parte!) a quel sacro canto che, secondo i Padri del Vaticano secondo, «unito alle parole, è parte necessaria ed integrante della liturgia solenne» ?! [2].

Il celebre Enzo Bianchi scriveva, ormai quasi dieci anni fa che 



«Abbiamo abbandonato il gregoriano, sperperato un grandissimo patrimonio per lasciar spazio a una stagione di creatività selvaggia, di messe rock e rasta di qualità infima che non hanno lasciato tracce. Adesso ci troviamo a metà del guado: i giovani ascoltano quel tipo di musica altrove, non in chiesa; e d'altronde non si sa come recuperare un'educazione al canto religioso. Questa situazione mi preoccupa, talvolta mi lascia disperato». [3]

I cattolici italiani non cantano (più) a messa? Colpa dei vescovi e dei preti che negli ultimi 50 anni li hanno dis-educati al canto! Non vi è stato un progetto sufficientemente radicato nel tessuto ecclesiale!

Ora la domanda è: come recuperare un'educazione al canto religioso?

La risposta che mi do è la seguente: per educare (ri-educare?) il popolo dei fedeli cattolici al canto sacro, bisognerebbe che vi sia un percorso educativo ufficiale che vada in parallelo con la catechesi dei fanciulli!

Mezzora di catechismo e mezzora di educazione al canto liturgico! Sissignori!

Crediamo veramente il canto sia parte integrante e necessaria del rito? La partecipazione attiva dei fedeli al canto è da perseguire con forza? L'unica strada è l'educazione al canto in parallelo all'iniziazione cristiana!

Ovvio che sarebbe tutto un sistema da costruire da parte della Chiesa italiana: selezionare e preparare, secondo criteri di base comuni per tutte le diocesi italiane, una falange di educatori reclutati tra animatori liturgici, direttori di coro e organisti d'ogni ordine e grado...

Ovvio, poi, che bisognerebbe individuare anche un repertorio comune di base (ancor più selezionato rispetto al vituperato Repertorio Nazionale) [4], ovvero una ristretta serie di canti liturgici che "dicano" la fede cattolica: finalmente un repertorio che unisca tutte le parrocchie italiane e ponga fine all'attuale anarchia liturgico-musicale...

Una proposta che - scommetto - sarebbe scartata a priori dai vescovi italiani perché troppo "complicata" da mettere in atto...

Eppure, pensate al vantaggio per i cattolici italiani sentirsi uniti nella fede grazie al canto: il potere della musica e del canto aveva avvinto Lutero tanto da farci sopra gli investimenti che sappiamo... Sentite cosa diceva il monaco:

«La musica è un po' come una disciplina che rende gli uomini più pazienti e più dolci, più modesti e più ragionevoli. Chi la disprezza, come fanno tutti i fanatici, non può concordare su questo punto. Essa è un dono di Dio e non degli uomini; essa scaccia il demonio e rende felici. Grazie alla musica si dimentica la collera e tutti i vizi. Perciò, e sono pienamente convinto di ciò che dico e non ho alcun timore di dirlo, dal punto di vista teologico nessun'arte può stare alla pari della musica. Vorrei trovare parole degne per tessere le lodi di questo meraviglioso dono divino, la bella arte della musica; ma ravviso in quest'arte qualità così grandi e così nobili che non saprei dove iniziare e dove finire per lodarla; non so neppure in che modo e in quale forma presentarla ai mortali perchè la considerino più luminosa e più preziosa. La musica è il balsamo più efficace per calmare, per rallegrare e per vivificare il cuore di chi è triste, di chi soffre. Ho sempre amato la musica. Chiunque è portato per quest'arte non può non essere un uomo di buon carattere, pronto a tutto. È assolutamente necessario conservare la musica nella scuola. Bisogna che il maestro di scuola sappia cantare, altrimenti lo considero una nullità. La musica è un dono sublime, datoci da Dio ed è simile alla teologia. Non darei per nessun tesoro quel poco che so di musica. Bisogna abituare i giovani a quest'arte perché rende gli uomini buoni, delicati e pronti a tutto. Il canto è l'arte più bella e il miglior esercizio. Essa non ha nulla da spartire con il mondo; non la si ritrova né di fronte ai giudici, né nelle controversie. Chi sa cantare non si abbandona né ai dispiaceri né alla tristezza; è allegro e scaccia gli affanni con le canzoni». [5]

Cari organisti e direttori di coro, se appena potete: instaurate in parrocchia una vera educazione dei fanciulli al canto liturgico... sempre che troviate carta bianca dal parroco di turno...

Grazie per la cortese attenzione e cordiali saluti.

Paolo Bottini


Cremona, domenica 23 ottobre 2016


[1]  http://liturgiaetmusica.blogspot.it/2016/09/decennale-ratio-studiorum-seminari.html


[2] http://win.organieorganisti.it/sacrosanctum_concilium.htm
[3] Padre Enzo Bianchi, superiore della Comunità monastica di Bose, intervistato da Alessandro Cannavò sul mensile "Amadeus" n. 209, aprile 2007
[4] http://win.organieorganisti.it/repertorio_naz_canti_liturg.htm - sapete forse di qualche diocesi che lo abbia adottato in toto? Quanto meno ha il vantaggio che ha escluso tutta quella pletora di canti sincopati che ormai vanno per la maggiore in tantissime parrocchie con gran concorso di chitarre e bonghi!
[5] da: F.A. Beck, Dr. M. Luthers Gedanken über die Musik, Berlino, 1828, pag. 58, traduzione di Enrico Fubini in L'estetica musicale dall'antichità al settencento, Einaudi, Torino 1976; Per approfondire il pensiero luterano sulla musica: http://liturgiaetmusica.blogspot.it/2012/09/educazioneliturgica.html

mercoledì 5 ottobre 2016

La diocesi di Termoli-Larino ha ufficialmente istituito la figura dell'organista "titolare"

Gentili lettori,

segnalo una iniziativa positiva da parte di una diocesi italiana!

Si tratta della diocesi di Termoli-Larino la quale ha istituito la figura dell’ORGANISTA TITOLARE!

Che scoperta - direte voi - in quanto la maggior parte dei suonatori d'organo nel culto cattolico si fregiano (per lo più indebitamente) del titolo di "organista titolare" della tal chiesa, basilica, santuario etc.

Dato che sempre più spesso il servizio liturgico in chiesa viene svolto da chi NON possiede competenze necessarie, la diocesi di Termoli-Larino ha saggiamente deciso di "regolarizzare" la posizione di "organista titolare" che, d'ora in avanti, verrà riconosciuta ufficialmente da parte della diocesi stessa.

In questo modo l'organista titolare, grazie alle sue competenze in ambito sia liturgico che musicale, avrà il compito di occuparsi dell’animazione liturgico-musicale della parrocchia presso cui svolgerà servizio assieme alle altre figure preposte, in modo da garantire non solo un miglior servizio ministeriale ma anche un miglior utilizzo - nonché la necessaria manutenzione - degli organi, evitando così che cadano in disuso e siano preda del deterioramento.

Per ottenere la titolarità dell'organo in una chiesa diocesana, sarà necessario farne richiesta secondo le modalità previste dal regolamento (v. qui in calce) e possedere i necessari requisiti. La Commissione esaminatrice, analizzati i titoli, sottoporrà il candidato ad un esame volto a verificarne le competenze.

Per chi ha Facebook è possibile commentare cliccando QUI altrimenti grazie per commentare direttamente su questo blog.

Grazie per la cortese attenzione e cordiali saluti.

Paolo Bottini

* * *


DIOCESI DI TERMOLI – LARINO
Curia Vescovile
138/2016 prot.

Termoli, 23 settembre 2016
 
Norme per l’incarico di Organista Titolare
Diocesi Termoli-Larino
Istituto di Musica Sacra

È costituito l’Albo degli Organisti Titolari nella Diocesi di Termoli – Larino, pubblicato sul sito ufficiale della Diocesi e dell’Istituto di Musica Sacra.

Potranno essere iscritti all’albo:

• Diplomati in Organo presso la Scuola di Musica Sacra della Diocesi
• Diplomati presso una Scuola Diocesana di Organo di altra Diocesi che prestino servizio in una delle chiese della Diocesi di Termoli – Larino.
• Diplomati in organo presso un Conservatorio che dimostrino di avere formazione liturgica ed esperienza di servizio alle celebrazioni in una chiesa della Diocesi
Gli interessati dovranno fare richiesta scritta di iscrizione e la domanda dovrà essere accompagnata da:

• Copia di uno dei diplomi sopra indicati;
• Presentazione scritta del parroco o del rettore della Chiesa dove i richiedenti prestano servizio;
• Documentazione attestante altri titoli ed esperienze;
• Curriculum vitae.

L’accettazione della richiesta è subordinata all’approvazione degli Incaricati Diocesani per la Musica Sacra. Gli stessi, presa visione della documentazione, potranno richiedere l’espletamento di una prova attitudinale composta da una parte pratica e da un colloquio. Gli argomenti d’esame saranno resi noti ai pretendenti  tre mesi prima della prova.

L’essere organista titolare non comporta di per sé alcun rapporto di dipendenza o di lavoro con la chiesa presso cui si presta servizio: si tratta di un titolo onorifico dell’organista principale di una chiesa diocesana nella quale vi sia un organo a  canne.

La titolarità dell’organo si intende valida per un quinquennio, rinnovabile tacitamente per altri quinquenni.

La titolarità potrà essere revocata in qualunque momento dal parroco o rettore della chiesa, per disposizione dell’Ordinario o per decisione degli Incaricati Diocesani per la Musica Sacra. La revoca avverrà previa comunicazione scritta all’interessato riportando le motivazioni della decisione stessa.

Gli organisti possono richiedere in qualunque momento la rimozione dall’albo di tutti o alcuni dei loro dati.

Nello stesso albo saranno iscritti i secondi organisti che possono svolgere, su richiesta e secondo necessità, servizio presso una delle chiese che posseggono un organo a canne. I requisiti e le modalità di richiesta ed accettazione della domanda sono i medesimi previsti per la titolarità.

sabato 10 settembre 2016

Decennale della "Ratio Studiorum" per i seminari



Gentili lettori,

sono passati dieci anni da quando la Congregazione vaticana per l'Educazione Cattolica promulgava la nuova "Ratio Studiorum" dei seminari: praticamente il regolamento riguardo l'ordinamento didattico nei corsi teologici frequentati dai futuri sacerdoti.

Come potete leggere qui in calce, un capitolo a parte è dedicato alla musica sacra, con non indifferenti indicazioni normative...

Mi piacerebbe sapere nel frattempo in quale seminario sia stato istituito ad litteram quanto raccomandato dalla Ratio in materia di educazione al canto e alla musica, in particolare, ad esempio, «celebrare con afflato spirituale», favorire «la bellezza dei riti e la loro solennità» e soprattutto il seguente auspicio:

«I seminaristi siano educati alle varie espressioni di canto liturgico (gregoriano, polifonico, popolare e “giovanile”), imparando a esercitare il discernimento sulle priorità, sulle qualità liturgiche, artistico-musicali e testuali dei brani, e a distinguere le diverse opportunità pastorali di uso degli stessi, abituandosi a differenziare il canto per la liturgia da quello per altre attività pastorali».

Interessante - dico io - che si puntualizzi la questione del saper (ri-cito!) «esercitare il discernimento sulle priorità, [...] e a distinguere le diverse opportunità pastorali di uso degli stessi, abituandosi a differenziare il canto per la liturgia da quello per altre attività pastorali»...

Questa raccomandazione, mi pare, è dettata per evitare un livellamento verso il banale del canto liturgico... cosa che invece purtroppo mi pare accada ormai pressoché regolarmente con l'invasione nel culto dello stile canzonettistico "leggero" denunciato, tra gli altri, da Riccardo Muti!

Voi conoscete qualche parroco edotto in materia così come raccomanda la Ratio Studiorum?...

Res, non verba!!

Vi saluto con affranta devozione

Paolo Bottini

Cremona, 8 settembre 2016

* * *


4. MUSICA SACRA

Obiettivi
La musica sacra - in particolare il canto sacro - è intimamente unita alla liturgia. Pertanto la conoscenza, la formazione e la pratica della musica per la liturgia devono abituare gli alunni a cogliere la stretta unità tra rito e azione liturgica, ed educarli ad ammettere nel culto divino le forme musicali della vera arte, avendo la musica sacra il solo fine della gloria di Dio e della santificazione dei fedeli. Tale formazione contribuirà alla pertinenza delle celebrazioni liturgiche nei seminari e alla preparazione di pastori capaci di celebrare con proprietà ed afflato spirituale i misteri divini, favorendo la bellezza dei riti, la loro solennità e la comunione ecclesiale che lo stesso canto del rito favorisce.

Contenuti
Il corso dovrà prevedere lo studio accurato dei principi basilari della musica liturgica secondo la costituzione conciliare Sacrosanctum Concilium e l’istruzione Musicam sacram, analizzandone i fondamenti teologici, antropologici, estetici e pastorali. Sarà inoltre necessario conoscere la disciplina e le norme fondamentali per il canto sacro e alcune indicazioni di base sull’animazione e sulla partecipazione dei fedeli. Di grande utilità potrà essere un breve panorama della storia del canto sacro.
Si insista sulla conoscenza della natura e della funzione del canto dell’ordinario della Messa (parti del presbitero, dei vari ministri, della schola cantorum e dell’assemblea), cui gli alunni dovranno abituarsi già nelle celebrazioni liturgiche in seminario. Si dia il giusto risalto al canto del proprio della Messa (parti variabili) e all’arte del salmodiare. Si affronti il tema del canto della Liturgia delle ore (innodia, salmodia e canti responsoriali).
I seminaristi siano educati alle varie espressioni di canto liturgico (gregoriano, polifonico, popolare e “giovanile”), imparando a esercitare il discernimento sulle priorità, sulle qualità liturgiche, artistico-musicali e testuali dei brani, e a distinguere le diverse opportunità pastorali di uso degli stessi, abituandosi a differenziare il canto per la liturgia da quello per altre attività pastorali. Si offrano alcune nozioni sugli strumenti musicali per la liturgia.

Didattica
– Conoscenza e uso del repertorio gregoriano fondamentale, che la Chiesa riconosce come proprio della liturgia romana.
– Conoscenza ed uso del repertorio nazionale di canti per la liturgia della Conferenza Episcopale Italiana.
– Esercitazioni sull’ordinario della Messa e sul canto del celebrante.
– Apprendimento di alcune nozioni base di teoria e solfeggio musicale e sull’uso della voce, e per il suono – anche solo sommario – di uno strumento musicale, preferibilmente l’organo a canne.
– Esercitazioni seminariali su alcuni aspetti particolari della musica sacra.
– Preparazione accurata, in forma di laboratorio, del canto liturgico per le celebrazioni.
– Esercitazioni sul canto della Liturgia delle ore, soprattutto degli inni e della salmodia.

[estratto da: Conferenza Episcopale Italiana, La formazione dei presbiteri nella Chiesa italiana. Orientamenti e norme per i seminari (terza edizione), Roma, novembre 2006]



domenica 4 settembre 2016

La musica come elemento di unità tra i cristiani?!...

Gentili lettori,

certo è lodevole che si organizzi un altro convegno internazionale sulla musica liturgica...

Il tema in discussione a Cremona il prossimo 1° ottobre, come potete leggere in dettaglio qui in calce, sarà "La musica come elemento di unità tra i cristiani".

Mi chiedo come sia possibile unire i cristiani tramite il canto e la musica... quando protestanti, anglicani ed ortodossi, ad esempio, mediamente fanno canto e musica nel culto divino in maniera talmente seria e decorosa che probabilmente compatiscono la pietosità generale della condizione liturgico-musicale dei cattolici (italiani)... ma soprattutto per il fatto che i cattolici stessi in Italia sono divisi anche in questa materia: organisti contro chitarristi, cori polifonici contro coretti pop, ceciliani contro universalausiani, gregorianisti contro modernisti etc...

L'anarchia liturgico-musicale vigente nel nostro Bel Paese dipende dal fatto che nessuno tra i vescovi italiani sembra abbia il coraggio (o nemmeno senta l'esigenza?!) di imporre elementari norme da rispettare, anzitutto liturgiche e poi musicali: basterebbe chiedere fortemente ai parroci di attuare ciò che chiede Sacrosanctum Concilium e, di conseguenza, Musicam Sacram... ognuno invece fa ciò che vuole, perché ritiene questi documenti magisteriali sorpassati e inattuali, e quando in parrocchia c'è la Cresima, il vescovo benedice e incoraggia incondizionatamente chiunque si trovi in quel tal luogo a far musica e canto nella liturgia!

Allora: se la retta strada è la più grande varietas che favorisca l'unica fede nel Cristo risorto... per favore: ditecelo apertis verbis!!

In effetti ci si può chiedere quale elemento in comune potrebbe, ad esempio, garantire l'unità cattolica nella messa tra un organista preparato e un chitarrista della domenica... Allo stato attuale a me pare che gli elementi comuni siano (si spera) solamente fede, speranza e carità!! Dal punto di vista prettamente musicale, direi che è più facile che sia l'organista ad adattarsi alle "esigenze" del chitarrista...

Per quanto concerne invece il discorso ecumenico, diciamoci la verità: ben raramente noi cattolici abbiamo a che fare con i "fratelli separati"! In quali occasioni, se non concertistiche o appunto "convegnistiche", si potrebbe attuare l'unità tramite la musica, dato che le diverse confessioni cristiane hanno differenti culti, retaggio di secoli di tradizione?...

Tanto per cominciare, bisognerebbe conoscere cosa dice il Vaticano II in fatto di ecumenismo!

Per il resto, sentiamo cosa ne scaturirà dal convegno cremonese del 1° ottobre prossimo, posto che gli organizzatori non hanno ovviamente ritenuto opportuno invitare a relazionare nessuno di quei compositori di canti "pop" tipo GEN, RNS etc. (proprio perché si tratta repertori ufficialmente non riconosciuti dalla Chiesa... ma nonostante ciò oltremodo diffusi nelle nostre autarchiche parrocchie!)...

Ma non venitemi a dire che l'emblema dell'ecumenismo liturgico-musicale sono i cosiddetti corali di Bach o le melodie del Salterio Ginevrino: l'unico vero canto liturgico che potrebbe unire le varie confessioni cristiane non è altro che il Canto Gregoriano... peccato che i primi ad averlo tradito siano proprio i cattolici!

Grazie per la cortese attenzione.

Paolo Bottini

Cremona, domenica 4 settembre 2016


* * *

• Cremona, Sabato 1 ottobre 2016
CONVEGNO
Ut unum sint: la musica come elemento di unità tra i cristiani

Cremona MondoMusica, Sala Guarneri del Gesù - ore 10.15
- Saluto di Sua Eccellenza mons. Antonio Napolioni, Vescovo di Cremona

Interventi di:
- Sua Eccellenza mons. Arthur Roche, Segretario della Congregazione del Culto Divino, Città del Vaticano 
- M° James O’Donnell, Maestro di Cappella dell’Abbazia di Westminster 
- M° Matthias Grünert, Maestro di Cappella della Frauenkirche di Dresda 
- M° Mons. Massimo Palombella, Maestro di Cappella Musicale Pontificia “Sistina” 

• Cremona, Sabato 1 ottobre 2016
CONCERTO DELLA CAPPELLA MUSICALE PONTIFICIA "SISTINA"
CANTANTE DOMINO: La Cappella Sistina e la musica dei PapiCattedrale di Cremona - ore 21
Musiche di Giovanni Pierluigi da Palestrina, Orlando di Lasso, Gregorio Allegri, Felice Anerio, Tomas Luis da Victoria 
INGRESSO LIBERO

• Cremona, Domenica 2 ottobre 2016
MASTERCLASS e S. MESSA
Massimo Palombella e l'Ensemble Vocale della Cappella Sistina
Cremona, chieda di S. Agostino

Ore 14.30 / 16.30 Masterclass
Dal segno grafico al segno sonoro: elementi di interpretazione della polifonia alla luce del Concilio Vaticano II.
Lezione teorico-pratica con esempi tratti della polifonia classica palestriana: aspetti interpretativi, tactus, ligaturae, color e rapporto con la prassi esecutiva odierna della musica liturgica secondo le istanze del Concilio Vaticano II

Ore 17 S. Messa
con la partecipazione dell'Ensemble Vocale della Cappella Musicale Pontificia "Sistina"

sabato 20 agosto 2016

Lo strazio dei cori in Cattedrale

Egregio M.° Bottini,

desidero denunciare pubblicamente lo strazio dei cori nella Cattedrale della mia diocesi.

Spiego.

Da decenni ormai vige la consuetudine che ogni domenica alla messa canonicale (tranne nelle solennità, quando presiede il vescovo) vengono a turno invitati ad "animare" la liturgia i "migliori" cori delle parrocchie della diocesi...

Lei potrà immaginare che raramente nelle parrocchie vi sono realtà corali dignitose: per la serie, ognuno fa con quanto il buon Dio ha donato in fatto di qualità musicali, col risultato che ogni domenica cambia coro, repertorio (dalla polifonia del Quattrocento fino a Frisina), ma, purtroppo, ben raramente vi sono cori non dico con una impostazione vocale appena sufficiente, ma nemmeno intonati!!

Ciliegina sulla torta: la messa è trasmessa in diretta grazie a radio e tv locali!

Immagino il disorientamento dei fedeli (in loco e tramite i mass media) incuriositi, se non scandalizzati, da tutto quel "ben di Dio" che ogni domenica cambia totalmente come nemmeno un menu di ristorante!

E il tutto in quel tempio (la chiesa ove è collocata la cattedra del vescovo) che, in fatto di liturgia e canto, dovrebbe essere esemplare per tutta la diocesi...

Quanto meno, abbiamo un organista titolare professionista che è in grado di accompagnare in maniera sopraffina tutte quelle povere realtà che transitano sull'altare (sì, perché l'altar maggiore, grazie alla "riforma liturgica" è diventato il luogo preposto per la collocazione dei cori (assieme ai loro più o meno pittoreschi direttori), mentre il sacerdote celebra giù dalle gradinate sopra un altare ligneo posticcio).

Chissà se tra i lettori del Suo blog vi sia qualcun'altro che possa testimoniare la medesima usanza nella sua diocesi... spero di no!

Grazie per l'ospitalità e cordiali saluti.

Benedetto Ballandi
(Diocesi di Vescovio, bolognese d'origine)

lunedì 4 luglio 2016

Preludi organistici ai canti... Gen!

Egregio M.° Bottini,

giusto il giorno di Pentecoste in parrocchia da noi c’era il vescovo a cresimare.

Il repertorio dei canti - completo appannaggio di adulti (genitori di bambini e ragazzi che frequentano la messa festiva) musicalmente, nonché liturgicamente, incompetenti - tutto sull’onda dello stile della canzone leggera...

Il sottoscritto all'organo fungeva da mero riempitivo, essendogli concesso di suonare, come ogni domenica, brevissimi preludi-intonazione ai canti stessi (quanto meno mi sento un piccolo Bach che suona choralvorspielen... ai canti Gen!!).
Non toccherebbe ad un Riccardo Muti deprecare questo repertorio e sgridare la Chiesa, bensì ai vescovi (e all’Ufficio Liturgico Nazionale della CEI) dare più puntuali direttive... invece anch’essi seguono l’onda, perché mettere i puntini sulle "i" è impopolare e far crescere anche culturalmente - non solo nella fede - i fanciulli e gli adulti è cosa... da professionisti pretenziosi!

E allora avanti così! L’importante - nel baccano liturgico-musicale tanto desiderato - che passi il messaggio essenziale: il Signore è veramente risorto! Altrimenti che risuoni il divino rimprovero: «Lontano da me il frastuono dei tuoi canti: il suono delle tue arpe non posso sentirlo» (Amos 5, 23)!

E giù applausi e battimani ritmati!

Grazie per la cortese attenzione.

Filippo Di Vittorio,
organista liturgico nella diocesi di Teggiano

mercoledì 27 aprile 2016

27 aprile 2016: cinquantesimo della cosiddetta "Messa beat" di Marcello Giombini




Gentili lettori,

la Messa dei Giovani (vulgo "Messa beat") di Marcello GIOMBINI è ormai un pezzo di storia: oggi ha compiuto mezzo secolo!

Forse molti di voi - come il sottoscritto - non avevano mai ascoltato questa musica, dunque ecco il Gloria a partire dal quale si possono facilmente reperire in rete tutte le altre parti della mitica Messa.

Nel sito dedicato all’autore vi sono dettagli, tra cui significative parole di commento di Giombini stesso sulla sua musica.


L’uso della musica liturgica "leggera" - benché ufficialmente mai autorizzata dalla Chiesa - è oggi assodata e pacifica per i cattolici italiani (non solo adolescenti ma anche i loro genitori cinquantenni)... gli unici a farsi problemi sono proprio i musicisti "classici", tra cui ovviamente gli organisti d’ogni ordine e grado (voglio dire sia diplomati che dilettanti)...

Non vedo lontano il momento nel quale la Chiesa italiana rilascerà la patente anche a questi repertori (dato che ora ufficialmente non fanno parte del Repertorio Nazionale dei Canti Liturgici approvato dalla C.E.I.)...

La regola, oggi, è che ognuno prega e celebra così come si sente, senza regole universali di sorta: sarà questa la strada giusta?

Ad ogni modo, Aldo Fabrizi (v. qui in calce la parte finale di una sua poesia risalente al 1970) pensava che la «messa bbitte» fosse cosa diabolica in confronto all’armonium... oggi invece gli acculturati cinquantenni cattolici pensano che la Chiesa sia "indietro" e che dovrebbe adeguarsi presto a ciò che nella pratica domenicale avviene vieppiù frequentemente, con l’avallo (o il tacito consenso) di tanti sacerdoti nonché vescovi...

Cari organisti: se ancora non vi hanno defenestrato, accontentatevi di suonare brevi choralvorspielen ai canti GEN e RNS!!

Cordialmente vostro


Cremona, il 27 aprile 2016

* * *

[...] mentre stavo così,
c’è stata pè guastamme la nottata,
un’antra novità, la messa bitte
difatti da ’na chiesa quà vicino
me arivato un fracasso indiavolato
de batterie, sassofoni, chitare,
che avrà fatto tremà Gesù bambino
e tutte le fiammele de’l’artare,
entranno a casa,
ho messo er catenaccio dicenno
-“Mo che faccio..”- poi ho detto
-“..perdoneme Gesù, si pregherò quassù”-
e pensanno l’armonium a me fatato,
sentivo er sono più scommunicato
e mentre che a’la radio
parlava er Santo Padre,
io me so’ inginocchiato
davanti all’artarino
de mi madre.

Aldo Fabrizi

lunedì 28 marzo 2016

L'Alleluia... quello gregoriano!




Egregio M.° Bottini,

è ormai quasi mezzo secolo che suono l’organo a messa da "mercenario" (faccio il tappabuchi: nella mia diocesi quando qualcuno s’assenta perché ha un concerto, o perché lo chiamano a suonare a sua volta in un’altra chiesa, chiamano il sottoscritto!)

La disturbo perché volevo portare a Lei e ai Suoi lettori questa mia breve riflessione.

Stamane, mattina di Pasqua, mentre intonavo per la trecentocinquantamilionesima volta l’Alleluia (quello che ormai viene definito - per antonomasia - "Alleluia quello gregoriano"!) [*], ho pensato tristemente come questa bella e semplice melodia (e proprio per questo divenuta il "passepartout" attraverso non importa quale festa!), abbia perso ormai la sua connotazione liturgica originaria [§], ovvero quella di caratterizzare il tempo liturgico più importante dell’anno, il corrente tempo di Pasqua!

Anzi, è una melodia divenuta talmente trita e ritrita (perché si usa sempre e ovunque non si sappia fare nessun altro tipo di Alleluia!) che è diventata anche un motivetto canzonatorio: pensate ad esempio quando viene accennato anche dai bambini (tutti, anche quelli che non mettono piede in chiesa e oratorio) quando vogliono dire «finalmente» oppure «ce l’abbiamo fatta»...

Il trionfo del banale!

È un po’ la fine che ha fatto la cosiddetta Aria sulla Quarta Corda di Bach: ormai se la suoni in chiesa, la gente ti chiede stranita «ma che è… suoni la sigla di Quark alla Messa?!».

Questo per dire cosa?

Per dire che se quella sacra melodia ha perso la sua "pasqualità" intrinseca è a causa dell’accidia liturgico-musicale dei nostri sacerdoti: sissignori, nella mia ormai lunga carriera non ne ho mai trovato uno (dico uno!) che prima della messa mi abbia presentato un bel menu preconfezionato (nel senso di calibratamente pensato in base al tema liturgico del giorno), al contrario «mah... non so... fa te!», oppure «boh... direi, per cambiare, "Noi canteremo gloria a te"» e via dicendo... intanto che magari sta chiacchierando del più e del meno col sacrista...

Lei mi dirà: «ma perché non prende Lei stesso l'iniziativa di cambiare Alleluia?!». E io Le rispondo: già ci ho provato, ma subito vengo richiamato all'ordine: «Antonio, lascia, prendiamo cose che la gente già sa!»...

Insomma, sembra proprio che il canto sacro, unito alle parole, non sia più dal clero percepito come «parte necessaria ed integrante della liturgia solenne» [Sacrosanctum Concilium 112, v. http://win.organieorganisti.it/sacrosanctum_concilium.htm], al contrario come parte facoltativa e quasi estranea... per la serie: se cantiamo è meglio, ma anche se non cantiamo... fa nulla!

Siamo proprio servi inutili!

Grazie e stia bene!

Tonino Scialoja
umile organista liturgico nella diocesi di Cerveteri

________________

[*] https://youtu.be/FYEEI8_AgwA (modestamente, pur non avendo fatto studi accademici, io lo suono un po’ meglio!)
[§] Seconda Antifona di Comunione nella Messa di Pasqua (Graduale Simplex, p. 163; l'intero contenuto del Graduale Simplex si può scaricare cliccando http://media.musicasacra.com/books/graduale_simplex.pdf )

lunedì 21 marzo 2016

La riscossa della musica liturgica "leggera"



Illustrissimo M° Paolo Bottini,

se il futuro della Chiesa sono i giovani, bisogna che i giovani si avvicinino alla Messa: io una ricetta per farli avvicinare ce l'avrei e gliela voglio consegnare qui... ma non credo incontrare il favore dei lettori della mail circolare "Liturgia & Musica" essere tutti titolati maestri organisti, direttori di cori polifonici, maestri di cappella...

In genere il musicista di chiesa "classico" è, appunto, troppo classico!

Nel senso che, non frequentando i repertori della musica contemporanea, l'organista professionista in genere non è in grado di favorire come si deve la partecipazione attiva dei fedeli e dei giovani in particolare, i quali per sentirsi veramente "a casa" hanno bisogno di musica "giovane", non di quelle lagne da secolo andato che ancora troppo spesso purtroppo si sentono nelle nostre assemblee (addirittura ancora nelle messe papali... ma vedrà che Francesco cambierà rotta presto anche in questo campo!).

Noi in parrocchia, ad esempio, innanzitutto abbiamo pian piano introdotto un po' di "freschezza" nella liturgia: gradualmente due/tre chitarre, poi un bongo (ma stiamo per dotarci di una batteria completa) e una tastiera elettronica multi-effetto (io ho messo a disposizione il mio glorioso Yamaha DX-7 che ancora oggi funziona a meraviglia) il tutto ovviamente amplificato come si deve (altrimenti i fedeli in fondo negli ultimi banchi non sentono bene) tramite anche un buon mixer.

Successivamente abbiamo convinto il parroco a sbarazzarsi sia dell'organista che dell'organo... mi spiace ma è così!

Era un diplomato spocchioso (che pure pretendeva d''essere pagato!) che ha sempre rifiutato di collaborare col nostro gruppo giovani: ovviamente storceva la bocca alla mia proposta di accompagnarci suonando al mio posto la tastiera elettronica (gli avrei ceduto volentieri il ruolo, ovviamente, dato che è mille volte più bravo di me a suonare), ma nulla da fare: desideroso solamente di far chiasso su quello strumento sfiatato che ormai ha quasi due secoli e caccia dei suoni veramente da funerale (che lui dice essere un capolavoro assoluto di un artigiano siciliano dell'Ottocento).

Pensi che costui stava quasi per convincere il parroco a farlo restaurare quel catorcio: trovo sarebbe stato un vero scandalo davanti ai parrocchiani spendere la bellezza di 200mila euro (cose da pazzi) per quello che alla fine non serve altro che ad accompagnare i canti (cosa cui provvede egregiamente il mio DX-7, che naturalmente alla parrocchia non costa nulla, così come il sottoscritto... figuriamoci: ma che carità cristiana è farsi pagare per suonare i canti alla messa?!).

Forse questa mia testimonianza scandalizzerà gli utenti del forum... ma a me pare che la Chiesa non possa più concedersi il lusso di spendere così tanti soldi per una "tastiera" e pagare qualcuno per farla suonare... di questo passo dovremmo pagare anche i catechisti?!

Grazie per la cortese attenzione.

Salvatore Cucinottatastierista liturgico nella diocesi di Taormina

mercoledì 2 marzo 2016

Sull'uso liturgico dell'organo nel tempo di Quaresima (e in quello di Avvento)

L'organo "Mascioni" (1985) del Duomo di Cremona



È vero che durante la Quaresima l’organo, per legge liturgica, deve tacere se non per accompagnare i canti (cfr. n. 312 dell’Ordinamento Generale del Messale Romano).

È però altrettanto vero, a modestissimo avviso del sottoscritto (che da oltre 50 anni serve la Cattedrale di Pistoia come organista), che questa legge nasce dall’erronea convinzione del legislatore che “suono d’organo” equivalga a “manifestazione di gioia”, con esclusione di altri significati. I protestanti sono quindi, da questo punto di vista, ben più avanti di noi cattolici.

Se l’organo viene usato per interpretare i sentimenti dell’assemblea, o meglio, per favorire nell’assemblea i sentimenti propri di ciascun periodo liturgico, non si capisce perché debba tacere in un periodo così intenso quale quello della Quaresima o, ancor più, in quello della Passione. Mi sembra, cioè, che il legislatore abbia ignorato che l’organo ha la meravigliosa possibilità «di gioire con chi gioisce e di piangere con chi piange» (S. Paolo ai Romani 12, 15).

La colpa è, quasi certamente, nell’uso che dell’organo faceva in passato la maggior parte degli organisti liturgici che, per lo più, suonavano i loro pezzi infischiandosi altamente della loro congruità, anche in termini di registrazione, col tempo liturgico e, più in particolare, del contenuto liturgico della celebrazione, specialmente letture, preghiere e antifone. Oggi, con la nuova liturgia, siamo certamente più avvantaggiati perché abbiamo, per capire subito il significato del giorno, le antifone d’ingresso e le collette proprie dei cicli A, B e C.

Sono certo che, se ci fosse sempre stata questa preoccupazione da parte degli organisti, mai sarebbe venuto in mente al legislatore la proibizione del suono dell’organo in Quaresima ed in tempo di Passione che è certamente una conseguenza di abusi o di uso improprio dello strumento.

Ho avuto occasione di parlare diverse volte di questo problema durante incontri con l’Ufficio Liturgico Nazionale della C.E.I. e ho trovato quasi tutti gli interlocutori abbastanza d’accordo con la mia posizione.

Bisognerebbe dunque affrontare decisamente e seriamente il problema. Sono sicuro che, come sono cambiate tante cose in campo liturgico, si potrebbe cambiare anche questa.

Capisco però la preoccupazione della Chiesa (e - ahimè - la condivido) per possibili abusi da parte di organisti non ben formati che suonano solo per suonare e non per "predicare ed istruire" come sarebbe loro compito.

Il discorso del “digiuno organistico” di Quaresima, che ho sentito molte volte, mi ingenera una profonda tristezza perché denota, in chi lo fa, una sostanziale mancanza di comprensione del vero compito dell’organo nella liturgia...

Can. Umberto Pineschi

P.S.: Se per la Quaresima c'è il divieto dell'uso solistico dell'organo (eccetto la IV domenica), ricordo che ciò non vale più per il tempo di Avvento, durante il quale lo strumento va usato «con quella moderazione che conviene alla natura di questo tempo» (cfr. OGMR 213)... In proposito il compianto maestro Alessandro Esposito chiedeva ironicamente: «Cosa vuol dire "con moderazione"? Forse fino alla Decimaquinta?!».

domenica 31 gennaio 2016

San Giovanni BOSCO e il potere pedagogico di canto e musica

Don Bosco in posa con i membri di un complesso di fiati a Torino nel 1870; © Archivio Centrale Salesiano



Gentili lettori,

don Bosco, che dell'educazione musicale aveva fatto un pilastro nel suo sistema educativo a Valdocco, sentenziava che «Un oratorio senza musica è come un corpo senz'anima» [Bollettino Salesiano, Anno CXLIV, numero 3, marzo 2020, p. 1].

Provate a pensare quanto poco (nullo?) spazio è dedicato all'educazione al canto negli oratori delle nostre parrocchie... 

Cosa è stato fatto in ormai più di mezzo secolo per educare al canto i cristiani? Sostanzialmente nulla: il canto è ritenuta una pura appendice esornativa della catechesi, a cui dedicare seri (si fa per dire) sforzi solo un mesetto avanti Prima Comunione e Cresima...

Poi ci si chiede come mai la gente fatica ad aprir bocca per cantare le lodi di Dio a messa...

Lutero, ad esempio, ha educato la sua gente aprendogli la Bibbia in mano e organizzando sistematicamente la pedagogia del canto liturgico...

La nostra riforma invece (quella del secondo Concilio ecumenico vaticano) non ha fatto altro che cristallizzare il repertorio ufficiale (il canto gregoriano) - decretandone di fatto la morte liturgica - senza occuparsi di una vera educazione liturgica dei fedeli, lasciando così spazio alla più disinvolta improvvisazione che, in pochi decenni di "far west", ha prodotto un marasma di proposte che lasciano disorientati anche i più volonterosi, i quali magari vorrebbero affrontare seriamente il discorso del canto liturgico, ma trovano spesso l'indifferenza o l'osteggiamento dei parroci ignoranti e presuntuosi...

Ci sarebbe, infatti, tanta gente disponibile ad educare al (bel) [°] canto: invece la Chiesa non si cura di chi sa fare bene il proprio mestiere, preferisce i mestieranti... sono più economici e soprattutto non rompono le scatole perché non mettono alla punta tanti inadempienti parroci (ai quali esclusivamente compete legiferare in materia liturgica, in barba a tutti gli pseudo gruppi liturgici parrocchiali)...

In calce un paio di scritti per approfondire il discorso musicale nel mondo salesiano.

Meditate, gente...

Cordialmente vostro


Cremona, il 31 gennaio 2016, memoria liturgica di san Giovanni Bosco


[°] «Ognuno chiede in qual modo cantare a Dio. Canta a Lui, ma canta bene. Egli non vuole che le sue orecchie siano offese. Canta bene, fratello.» (S. Agostino, Esposizioni sui salmi, Commento secondo al salmo 32, paragrafo 8)


* * *


Don Bosco, la musica come «allegria e libertà grande»

di Enrico Raggi [*]

La musica come strada per essere felici e per piacere a Dio. È uno dei suggerimenti di don Giovanni Bosco [...]. «Allegria, canto e libertà grande» è uno dei motti preferiti dal sacerdote. «Una casa salesiana senza musica è un corpo senz'anima», chiarisce.

Ovvio che l'arte dei suoni, in tutte le sue espressioni, innervi il suo metodo educativo: negli oratori si coltiva musica corale, canto popolare, liturgico e gregoriano, si suonano pianoforte, organo e strumenti vari, si pratica musica d'insieme, si rappresentano operette e spettacoli teatrali, nascono Scholae Cantorum e bande, s'insegna composizione.

«Molti orfani accolti da don Bosco diventeranno musicisti di valore - conferma Walter Bianchi, organista piemontese che ne ha studiato a fondo la produzione musicale -. Tra i maggiori, Giovanni Cagliero, tra i primi orfanelli di don Bosco, grande compositore, chiamato "Il Trovatore di Dio", elogiato perfino da Verdi, poi Vescovo missionario in Patagonia. "Col sudore e col sangue, con la musica, il catechismo, i Sacramenti e la devozione a Maria Ausiliatrice, portammo al battesimo migliaia di uomini e vedemmo cosa sono i miracoli", racconta nelle sue memorie. [...]

«È Giovanni Pagella il più grande musico salesiano, orfano e figlio devoto di don Bosco - interviene Marco Cortinovis, organista bergamasco che ne sta incidendo l'opera omnia per tastiera -. A lui si rivolgono per collaudare e inaugurare gli organi italiani, il suo repertorio spazia dalle Messe più complesse alle melodie più semplici e commoventi, alle musiche da concerto e da teatro. La sua sapienza contrappuntistica stupisce Solesmes e Ratisbona, i due fulcri della musica sacra europea ottocentesca. Le sue composizioni sono state il pane quotidiano degli organisti domenicali fino al dilagare della Messa pop».

«E dove lo lasciamo Federico Caudana [www.federicocaudana.it]? - chiede il cremonese Paolo Bottini, che ne [registrato] l'integrale organistica e ne ha indagato opere e biografia -. Orfano a tre anni, subito ospitato a Valdocco, abile direttore d'orchestra, pianista, operista, organista per necessità: nell'estate del 1907, vince il concorso per Maestro di Cappella della Cattedrale di Cremona; le sue potenti improvvisazioni fanno scalpore, dotato di una fantasia talmente torrenziale che raramente esegue musica altrui. Il suo stile parla direttamente al cuore, è saporoso, pieno, suggestivo».

La lista dei musicisti salesiani germogliati dal carisma di don Bosco è ancora lunga: Padre Leone Maria Liviabella, missionario in Giappone, gran virtuoso del pianoforte; don Angelo Margiaria, evangelizzatore dei popoli orientali, tenore di valore; padre Vincenzo Cimatti, insegnante di canto corale al Conservatorio di Parma, laureato in Scienze Naturali e in filosofia a Torino, sacerdote nella terra del Sol Levante (dove compone mille brani e tiene duemila concerti); Alessandro De Bonis, docente di musica sacra al Conservatorio di Napoli; e tanti e tanti altri, fino a Massimo Palombella, attuale direttore della Cappella Sistina.

[*] dal «Giornale di Brescia», 15 agosto 2014

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La pedagogia della gioia e della festa [nel sistema educativo di don Bosco]

di Pietro Braido

La funzione della musica strumentale e vocale, nel sistema educativo di don Bosco, è pure strettamente legata al suo concetto dell'educare mediante l'allegria, l'atmosfera rasserenante e l'affinamento del gusto estetico e dei sentimenti. Per questo essa trova ampi spazi in tutte le istituzioni, dall'oratorio festivo al convitto per studenti, alle scuole artigianali e professionali: in queste è particolarmente curata la banda musicale.

Tra l' altro, la musica dà un tono di vivace festosità a tutte le solennità, sacre e profane: riti religiosi, processioni, passeggiate ed escursioni, ricevimenti e commiati, distribuzione dei premi, accademie, teatrino.

Nel 1859 don Bosco fece scrivere sulla porta della sala di musica vocale un detto biblico, accomodandone il senso: "Ne impedias musicam". La sua posizione è resa efficacemente dalla felice espressione: «Un Oratorio senza musica è un corpo senz'anima».

Formulata in particolari circostanze, essa non faceva che teorizzare una convinzione, che era stata realtà viva e pratica fin dagli albori della sua attività educativa. Ricordando i primissimi collaboratori delle incipienti riunioni giovanili (1842), egli scrive nelle Memorie dell'Oratorio: «Essi mi aiutavano a conservare l' ordine ed anche a leggere e cantare laudi sacre; perciocché fin d' allora mi accorsi che senza la diffusione di libri di canto e di amena lettura le radunanze festive sarebbero state come un corpo senza spirito». Rievocando nelle stesse Memorie l'impianto delle prime scuole serali nell'inverno 1846-1847, don Bosco scriveva: «Oltre alla parte scientifica animava le nostre classi il canto fermo e la musica vocale, che tra noi furono in ogni tempo coltivati».

S'intrecciano vari motivi. Nei primi tempi, la musica è considerata prevalentemente mezzo preventivo: «vi fu un concorso stragrande» alla scuola di musica. La musica vocale e strumentale fu insegnata per sottrarre i giovani ai «pericoli, cui i giovanetti erano esposti in fatto di religione e di moralità»: «alla scuola serale ed anche diurna, alla musica vocale si giudicò bene di aggiungere la scuola di piano e di organo e la stessa musica istrumentale».

Si aggiungeva il motivo religioso, soprattutto in relazione al canto sacro e gregoriano, il canto fermo: «era eziandio suo desiderio e mira che i giovani ritornando al proprio paese fossero di aiuto al parroco nel cantare alle sacre funzioni». Altro motivo era la lotta contro l'ozio: «I ragazzi bisogna tenerli continuamente occupati».

Va tenuta presente, infine, la valutazione più particolarmente pedagogica della musica. Ne scrive in un capitolo di sintesi su La musica salesiana Eugenio Ceria nel primo volume degli Annali. «La ragione precipua va ricercata nella salutare efficacia che egli le attribuiva sul cuore e sull'immaginazione dei giovani allo scopo d'ingentilirli, elevarli e renderli migliori».


[estratto da: Pietro Braido, Prevenire, non reprimere. Il sistema educativo di don Bosco, LAS, Roma 2006, pp. 324-337; testo originale e note consultabili cliccando donboscosalesianportal.org]